Revisione della Revisione dei Fact Checker

l 2 novembre in un evento organizzato dal senatore americano Ron Johnson, Peter Doshi (docente dell’Università del Maryland e direttore associato del British Medical Journal, ricercatore di fama mondiale), propose un intervento piuttosto forte. Sebbene non fosse il solo,  in quella sede, a tenere posizioni contrarie alla narrazione ufficiale mondiale, essendo uno studioso di prestigio internazionale le sue affermazioni fecero scalpore. Andava in qualche modo ridimensionato… Qui in Italia se ne preoccupò Open.

In questa sede, voglio riprendere  l’articolo di Open che tenta di sminuire maldestramente l’intervento di Doshi, proponendo un’analisi critica tendente a svelare come, oltre ai molti giornalisti, anche i fact checker siano ormai diventati totalmente inaffidabili dal punto di vista della correttezza dell’informazione.

 
Farò riferimento, dunque,  all’intero articolo di Open ( testo in corsivo e virgolettato), facendolo seguire dal mio commento.
 
“Le ultime critiche del direttore associato del British Medical Journal al sistema di controllo dei dati sui trial di Pfizer, riprese in un video molto popolare in Rete, stanno generando interpretazioni sbagliate.

 

Le ultime critiche di Peter Doshi, docente dell’Università del Maryland e direttore associato del British Medical Journal, al sistema di controllo dei dati sui trial del vaccino contro il nuovo Coronavirus di Pfizer, riprese in un video molto popolare in Rete, stanno generando interpretazioni che vanno ben oltre il vero senso delle sue affermazioni, riscontrando titoli in cui si sostiene che «Pfizer non ha fornito dati sufficienti per il sì alle terze dosi a tutti».

 

Per chi ha fretta:
  • Peter Doshi parla a titolo personale, sollevando legittime questioni riguardo all’accesso ai dati dei trial sui vaccini.
  • Diverse affermazioni su una ridotta efficacia o la definizione di vaccino a mRNA non sono supportate da fonti.
  • In nessun modo queste opinioni, per quanto espresse da un esperto, sono la dimostrazione che FDA ed EMA hanno sbagliato ad approvare le terze dosi dei vaccini anti-Covid.”
 
Per chi ha fretta:
  •  Peter Doshi parla a titolo personale e solleva legittime questioni riguardo all’accesso ai dati dei trial sui vaccini e citiamole tutte se vogliamo essere corretti: 1) Epidemia di vaccinati 2) necessità della terza dose 3) Prove dell’efficacia dei vaccini durante gli studi clinici sbagliate e non lo hanno dimostrato 4) obbligatorietà dei vaccini 5) i prodotti a mRNA non sono vaccini 6) mancata trasparenza dei dati 7) Questa non è scienza: il business e il marketing sembrano manovrare le azioni
  • Signori fact checker, ma è Doshi la fonte! Non si chiedono fonti ad un esperto riconosciuto tale. Se lo facessimo con Doshi dovremmo farlo con tutti coloro che hanno una riconosciuta veste di esperto ma questo in qualunque settore: per esempio un professore universitario che fa una lezione afferma il suo sapere senza dimostrarlo. Perché mai dovrebbe farlo Doshi, che afferma il suo sapere a titolo personale e non in un articolo scientifico alla fine del quale si pone la bibliografia di supporto. E, infine, perché non lo fate voi o non lo fa l’esperto che poi interpellate, il dr. Stingi?

   

  • Ecco, dire.” In nessun modo queste opinioni, per quanto espresse da un esperto,      sono la dimostrazione che FDA ed EMA hanno sbagliato ad approvare le terze      dosi dei vaccini anti-Covid.” Significa fare un’affermazione su questioni      e argomenti sui quali non si ha titolo di parlare, men che meno in forma      anonima. Nessun fact checker si dovrebbe permettere di fare una simile      affermazione senza dimostrarne la validità. Dovrebbe essere sentito come      un obbligo morale. Non farlo, da parte di chi si permette di contestare l’opinione      di un esperto è la dimostrazione di una squalificante disonestà intellettuale      e del fatto che ci si deve attenere a tesi pregiudiziali che vanno difese      a qualunque costo anche senza argomenti.

 

 
Analisi
L’intervento del Prof. Doshi è stato prelevato da un evento organizzato dal senatore americano Ron Johnson dedicato ai vaccini e ai presunti danni. La diretta è stata trasmessa il 2 novembre 2021 sia dalla sua pagina Facebook che dalla webTVdell’associazione No Vax di Robert F. Kennedy Jr. Il direttore associato del BMJ (la rivista che ha fatto esplodere il Pfizergate) aveva già fatto parlare di sé per i suoi dubbi sullo smascheramento anticipato dei partecipanti alla sperimentazione Pfizer, spiegabile soprattutto per motivi etici (ne parliamo qui)”.
 
Ma non si spiega per niente con motivi etici, anzi, invocare l’etica è capzioso e strumentale. Lo smascheramento anticipato di uno studio in doppio cieco sulla cui promessa di fornire i dati mancanti a fine studio si è basato il rilascio dell’autorizzazione provvisoria emergenziale non è un evento accettabile se non con il ritiro immediato dell’autorizzazione. Invece dopo aver ottenuto quell’autorizzazione hanno chiuso lo studio vaccinando il gruppo placebo e impedendo definitivamente la raccolta dati per trasformare l’autorizzazione in definitiva entro la data fissata. Questo sì è terribilmente non etico!

 Invocare i principi etici per difendere qualcosa che va contro i principi etici della ricerca e che sono ben documentabili è davvero o molto buffo o molto scorretto.

 
“Prima ancora si era espresso sui test PCR che darebbero falsi negativi, vanificando i risultati dei trial sui vaccini, cosa non corretta, come gli facevano già notare Roberta Villa e Roberto Buzzetti in un articolo per Scienza in Retedel gennaio scorso”.
 
I test PCR non solo danno falsi negativi ma anche e soprattutto falsi positivi e non solo, si prestano ad essere manipolati facilmente semplicemente variando il numero delle amplificazioni, infine, non essendo un test diagnostico ma una semplice tecnica di laboratorio per moltiplicare all’infinito il materiale genetico non è valido per screening diagnostici su cui progettare una campagna di vaccinazione di massa.

 

“Le recenti affermazioni di Doshi sollevano un polverone su una questione importante che riguarda il rigore nella ricerca scientifica, un tema che abbiamo trattato diverse volte per Open. Si parla infatti di un mancato accesso ai dati grezzi della sperimentazione, in particolare del vaccino di Pfizer. Il Professore sembra inoltre sollevare dubbi sulla validità della sperimentazione per come è stata fatta. Il problema è che fuori dall’ambito accademico, privato del suo ampio contesto, l’appello del Professore sta diventando un’arma per sostenere tesi contro la sicurezza e l’efficacia dei vaccini”.
 
Come è giusto che sia. Il mancato accesso ai dati grezzi consente al produttore di aggregarli a suo piacere e di dimostrare quello che vuole suscitando ben più che un conflitto di interessi ma un vero e proprio “affaire” dato che quel modo di aggregare e interpretare i dati consente al produttore del farmaco di dimostrarne la validità autonomamente impedendo qualunque controllo esterno per ottenere quell’autorizzazione emergenziale che gli consentirà di portare a casa contratti di miliardi di euro. La sperimentazione, così come è stata fatta, è stata fatta male e questo lo sappiamo, avere la possibilità di disporre dei dati grezzi ci permetterebbe di sapere quanto esattamente sia stata fatta male e di conoscere la verità su sicurezza ed efficacia del farmaco testato. Credete sia cosa da nulla?
 
“Dubbi legittimi, ma attenzione al contesto. Doshi sicuramente solleva dei dubbi legittimi – ci spiega Aureliano Stingi, PhD in Cancer Biology – Il problema è che le questioni reali e corrette sollevate, riguardo la trasparenza e l’accesso ai dati, vengono condite con affermazioni riguardo ai risultati dei trial, che risulterebbero così invalidati. Questo è difficile da condividere. Una cosa in particolare che afferma riguarda la presunta superiore affidabilità dei trial rispetto ai dati del Mondo reale». «Secondo me questo è sbagliato – continua Stingi -. Per i vaccini anti-Covid i dati più importanti sono proprio quelli del Mondo reale. Il vaccino ci interessa che funzioni nella vita reale, con tutte le variabili che possono incorrere, rispetto a quelle che si riesce a controllare in un trial. Anche perché qui parliamo di efficacia e non di sicurezza”.
 
Allora, Stingi dice che Doshi solleva dubbi legittimi e lo fa sicuramente, e sono anche questioni reali e corrette. Però poi le logiche conseguenze di quei dubbi e di quelle questioni, che dovrebbero avere conseguenze e portare all’invalidità dei risultati, secondo Stingi non sono facilmente condivisibili. Esprime un’opinione incongrua con quanto affermato prima ma non spiega perché. Certo, è difficile spiegare come mai se tutto quello che Doshi dice è vero non sono però vere le sue conclusioni. Stingi dice che Doshi sbaglia quando afferma che l’affidabilità del trial è superiore a quella del mondo reale. Allora ci dovrebbe spiegare come mai prima di una qualunque azione nel mondo reale si fanno i trial e se l’oggetto studiato non passa i trial non arriva nel mondo reale. Questo vale per qualunque farmaco e i vaccini sono farmaci. Dunque vale anche per il vaccino anticovid. Stingi dice che quel che c’interessa è che il vaccino funzioni nella vita reale. Giusto. Ma se non funziona nel trial cosa facciamo, vediamo se invece funziona nella vita reale? E allora perché faremmo i trial? Le variabili che inevitabilmente incontreremo nella vita reale ci permetteranno di perfezionare una cosa che però dobbiamo già sapere che funziona ed è sicura, non possiamo aspettare di scoprirlo nella vita reale, come invece abbiamo fatto. E questo vale tanto per l’efficacia quanto per la sicurezza. Un farmaco nuovo deve essere testato per entrambe le caratteristiche in un trial e solo poi può essere destinato all’uso. Qui, invece, non è destinato all’uso ma ad un uso emergenziale, dunque lo stiamo provando nelle persone invece che in un trial, difatti il trial che regge quell’autorizzazione è stato chiuso, come abbiamo visto. Quel che Doshi dice, prima ancora di dire che lo studio non doveva essere interrotto, è che forse lo studio non era adeguato e che forse i dati dimostrano una cosa diversa da quella dichiarata da Pfizer che difatti impedisce ai ricercatori indipendenti di controllare i suoi dati. Ed è grave…
 
“Definizione di vaccino. C’è un punto in particolare in cui Doshi sembra critico anche sulla definizione dei vaccini a mRNA. Ricordiamo che in precedenza qualche guru apprezzato dai No vax aveva espresso critiche simili, sostenendo apertamente che questi «non sono dei vaccini». Altri ancora parlano di «siero sperimentale». Ma un vaccino non dovrebbe essere qualsiasi farmaco in grado di prevenire una infezione stimolando la produzione di anticorpi? «A un certo punto Doshi prende il dizionario e spiega che hanno cambiato la definizione di vaccino – continua Stingi – Sul Webster nel 2016 c’era una definizione, cambiata poi nel 2021 includendo i vaccini a mRNA. Questo potrebbe portare, fuori dal contesto del discorso di Doshi, a pensare effettivamente che questi siano sieri sperimentali e che nulla abbiano a che fare coi vaccini veri e propri»”.

 

I fact checker affermano, in una domanda retorica, che qualunque farmaco in grado di prevenire un’infezione stimolando la produzione di anticorpi è un vaccino. Ma non funziona così. In medicina ci sono regole, definizioni e classificazioni che non possono essere prese a proprio comodo ma devono essere rispettate. Intanto questo farmaco non è nato per prevenire un’infezione ma per diminuire la gravità della malattia, e non è quello che fanno i vaccini appunto. Dunque la risposta alla domanda retorica espressa poco sopra è no. Un vaccino è un farmaco definito in modo preciso e questa definizione esclude che i farmaci chiamati vaccini anticovid siano effettivamente vaccini. Difatti, per sostenere che siano vaccini si è dovuta cambiare la definizione di vaccino e questo dovrebbe chiudere la questione per chiunque abbia senso logico. Allora cosa sono questi farmaci, se non sono vaccini? Intanto diciamo chiaro e tondo che non stimolano la produzione di anticorpi ma stimolano la produzione della proteina spike. Non modulano il sistema immunitario, modulano il sistema ribosomiale cellulare, dunque, se volessimo definirli correttamente dovremmo chiamarli modulatori genici ribosomiali. Ma il cambio di definizione non è solo del Webster ma anche della FDA e dell’OMS. E ancora una volta scusate se è poco!
Dunque, ebbene sì, questi sono farmaci sperimentali e nulla hanno a che fare coi vaccini. Esattamente come dice Doshi. E non solo lui, ma lui è certamente uno dei più qualificati a livello mondiale. E, per inciso, chi sono i fact checker che ne mettono in discussione il parere? Con quale competenza?

 

“Questa non è Scienza. Vaccini efficaci al 29%. A un certo punto del suo discorso, Doshi arriva a suggerire che i vaccini avrebbero in realtà un’efficacia del 29%. Quanto è condivisibile una affermazione del genere? Secondo Stingi, «Doshi spiega che nel trial c’era tanta gente già infettata. Quando gli fanno vedere i dati PCR sostiene allora che potrebbero esserci dei falsi negativi. Sappiamo invece che le analisi PCR hanno un’affidabilità del 99%, quindi i suoi conti non tornano. Villa e Buzzetti rispondono a Doshi proprio su questo argomento più in dettaglio, nel gennaio scorso su Scienza in Rete”.
 
I fact checker si chiedono polemicamente quanto potrebbe essere condivisibile l’affermazione di Doshi sulla reale efficacia dei vaccini. Ma non rispondono, né argomentano, né dimostrano il contrario. Dunque che fanno? Nulla, ma lo fanno in modo da far pensare a chi legge che Doshi dice sciocchezze. E sapete qual’è il bello? Che in quella versione del video che ha fatto il giro del mondo e che io stesso ho guardato prima di scrivere queste note, Doshi non parla affatto dell’efficacia del 29% dei vaccini e nemmeno dice che nel trial c’era gente infettata e nessuno gli fa vedere i dati della PCR. Nel video Doshi non parla affatto di PCR ma in questa “revisione” gli fanno dire cose che in realtà non dice affatto solo per poter rispondere come fa loro comodo e fare affermazione che sembra lo smentiscano. Ma, 1) non si può smentire ciò che uno non dice 2) comunque l’affermazione che la PCR ha un’affidabilità del 99% e del tutto falsa, quindi non sono i conti di Doshi che non tornano, anche perché non ne fa, ma sono i trucchi dialettici dei fact checker che non stanno in piedi. Tralascio di contestare quel che dicono Villa e Buzzetti perché in realtà sono nominati ma non dicono assolutamente nulla.
 
“Veniamo ora alla frase più controversa di Doshi, che si presta facilmente a manipolazioni. Lui afferma infatti a un certo punto che «questa non è Scienza». Cosa voleva dire esattamente? «È stata estrapolata dal contesto la frase “questa non è Scienza” – spiega Stingi – ma lui in quel caso stava facendo una critica all’aspetto del business. Non intendeva affatto dire che si starebbero facendo esperimenti sulle persone o chissà quale altra schifezza»”.
 
Quanto alla presunta frase di Doshi “Questa non è scienza” qui i fact checker dimostrano di non aver nemmeno guardato il video che stanno contestando. La frase, infatti, non è di Doshi ma del dr. Haeley, che parla prima di lui. Doshi dice testualmente: “Ok, proseguo il discorso del dr. Healey e sottolineo solo il punto della trasparenza dei dati. Quindi nel video menzionato dal dr. Healey questo c’è sotto il cofano degli studi di Pfizer. Non è scienza, ha detto che sono affari. Io ho esaminato studi clinici sponsorizzati dall’industria per oltre un decennio e tendo ad essere d’accordo col dr. Healey che il business e il marketing spesso sembrano essere alla guida.” Andarsi a vedere il video per credere.
 
I pro e contro dei dati aperti: quando ha senso chiederli e chi dovrebbe farlo. Ci sono casi in cui effettivamente ha senso che un esperto chieda i dati grezzi, perché magari nel paper che li interpreta ci sono indizi di potenziali manipolazioni o di metodi scorretti. Un esempio potrebbe essere la lettera dei quaranta scienziati ai ricercatori del vaccino Sputnik V, redatta da Enrico Bucci, dove si chiedevano i dati grezzi della sperimentazione, per altro ottenendo come risposta la macchina del fango dei media filo-russi. Parliamo però di esperti che chiedono ad altri colleghi maggiore trasparenza, a seguito di indizi che fanno pensare a dei risultati falsati”.
 
Anche questo discorso è falso e fuorviante. Non è un rapporto tra colleghi ma un rapporto tra esperti e produttori. Ed è innegabile che se il produttore di un farmaco presenta il suo studio sul suo farmaco il conflitto di interessi è inconciliabile e doveroso sarebbe analizzare lo studio partendo proprio dai dati grezzi. Per i non addetti ai lavori aggiungo che i dati grezzi vanno aggregati e lavorati, dunque a seconda di come vengono aggregati e lavorati i risultati cambiano e di molto.
 
“La questione del libero accesso ai dati – che dovrebbe essere il vero focus del discorso di Doshi – è problematica sotto tanti aspetti. Di quante informazioni stiamo parlando?”
 
Tutte ovviamente! E non sono poche, sono tutti i dati grezzi, non è difficile capire: stiamo parlando di tutti i dati raccolti su una sperimentazione di 40.000 persone per diversi mesi. Di questi dati non se n’è visto nemmeno uno.
 
“ Possiamo davvero metterle sempre a disposizione su richiesta di chiunque?”
 
Non si parla di chiunque ma dei revisori ufficiali. Se i revisori, che sono i famosi pari, non hanno i dati, non possono revisionare. E ci si dovrebbe chiedere piuttosto perché una casa farmaceutica impedisce la revisione dei propri studi.
 
“«Magari l’Uomo della strada vorrebbe avere accesso a tutti i dati – continua Stingi – ma parliamo di fascicoli con migliaia di pagine. Se non hai a disposizione un bio-statistico e un esperto di trial, non ci capisci niente. Non è una cosa che ti leggi la domenica in famiglia. Va bene la trasparenza, però poi l’analisi deve farla sempre un team di esperti»”.
 

Stingi fa lo gnorri, finge di non capire e non sapere che non è l’uomo della strada che deve revisionare gli studi ma i ricercatori indipendenti e pari grado prima di pubblicare gli studi. Si chiama peer review. Da Wikipedia: La valutazione tra pari (detta anche revisione tra pari o revisione paritaria e meglio nota con il termine inglese peer review) indica nel mondo della ricerca e dell’università, la valutazione critica che un lavoro o una pubblicazione riceve, spesso su richiesta di un’autorità centrale, da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi ha prodotto l’opera. Pubblicazioni e progetti di ricerca che non siano stati soggetti a una revisione dei pari non sono generalmente considerati scientificamente validi dai ricercatori e dai professionisti del settore, se non dopo eventuali e accurate verifiche.

 
Così la revisione raggiunge lo scopo ultimo di filtro delle informazioni e delle ricerche realmente affidabili ovvero verificabili e degne quindi di pubblicazione, scartando spesso quelle non originali, dubbie ovvero non convincenti, false o addirittura fraudolente.
 
Non sembra una cosuccia da nulla, e nemmeno qualcosa che si possa evitare!! Con buona pace di Stingi e di tutti coloro che pretendono di squalificare Doshi.
 
“Allora forse non basta lo slogan “dateci i dati”? Secondo Stingi bisogna capire chi li deve usare: «Non è così semplice. A parte il fatto che possono esserci dei legittimi segreti industriali o dati sensibili dei pazienti. Non è banale gestire questa mole di dati. Va ricordato infine che l’EMA ha approvato Pfizer, Moderna, eccetera, perché ha avuto accesso ai dati, ovviamente. Parliamo di un organo sovrastatale che fa i nostri interessi, così come AIFA»”.  
 
Stingi sa benissimo chi li deve usare quei dati e continua a far finta di nulla. Va ricordato, infine, che EMA ha approvato Pfizer sotto condizione proprio perché mancavano i dati che Pfizer avrebbe dovuto consegnare a fine studio ma che non potrà consegnare perché, come ho detto, lo studio è stato interrotto. Direi piuttosto comodo no? Adesso quei dati sono persi per sempre. E FDA ha approvato la secretazione per 55 anni. Ditemi un po’ se tutto questo non puzza di marcio! Altro che fact checker!!
 
“Ci sono diversi passaggi, anche quello presso i CDC americani: «Non so se avete visto le interrogazioni che ha fatto il CDC Board, ovvero il Vaccines and Related Biological Products Advisory Committee (VRBPAC) a Pfizer prima di approvargli il vaccino. Parliamo di una cosa che dura magari sei ore in cui gli chiedono di tutto. Non è una passeggiata passare l’approvazione dei CDC per un vaccino. Dalle affermazioni di Doshi sembra che il processo sia stato immediato. Non è così»”.
 
Ah, si, quegli enti i cui partecipanti sono in pieno conflitto d’interesse! Sei ore!? Ma come sei ore? Non erano fascicoli con migliaia di pagine? Lo dice lo stesso Stingi poco sopra… dunque vorrebbe farci credere che in sei ore si siano verificati i contenuti di migliaia di pagine? Di uno studio carente per altro per avere solo due end point?
 
“Trial troppo veloci?Quando cominciarono a emergere i risultati degli studi sui vaccini nelle prime fasi cliniche, lo sapevamo mediante i comunicati ufficiali delle case farmaceutiche. I tempi imposti dall’emergenza sanitaria globale erano ristretti, così i paper arrivavano sempre dopo la notizia dei risultati dei trial. Questi venivano svolti come da protocollo, mentre veniva snellita la burocrazia. L’immagine che si è creata è quella di una eccessiva fretta, che avrebbe sacrificato il rigore delle sperimentazioni. Ma è andata veramente così? «L’approvazione emergenziale è più che altro per poter commercializzare un farmaco quando hai intanto degli endpoint preliminari – conclude Stingi – vuol dire che al posto di avere tutti gli endpoint (come, “il vaccino previene la trasmissione”), ci siamo fermati a “il vaccino previene la morte”. Una volta che avevamo quei numeri, e avevamo bisogno di quelli, i vaccini sono stati approvati»”.
 
E qui casca l’asino di Stingi. Un vaccino deve bloccare il contagio e non prevenire la morte, se no che senso ha avuto parlare di immunità di gregge? Che senso ha avuto istituire il Green Pass spacciandolo come garanzia di non trasmissione e non infezione? E che senso ha vaccinare tutti se la protezione che da non è nemmeno individuale dato che comunque ci si può ammalare e, come abbiamo visto, si può anche morire da vaccinati? Forse era meglio revisionarli quei dati prima di partire con una vaccinazione di massa con un farmaco sperimentale per poi scoprirne limiti e pericolo a cose fatte!
 
«Sono stati veloci i trial perché c’era una pandemia in atto ed era facile, sia reclutare persone, sia che queste si infettassero. È partito anche il trial per l’HIV ma durerà anni, perché fortunatamente in quel caso la gente non si infetta così facilmente. È il contesto della Covid-19 a rendere tutto più veloce. Non vorrei passasse il messaggio che siccome eravamo in emergenza abbiamo fatto le cose male. Non è così. I passaggi di sicurezza ci sono stati tutti. Non è che accettiamo qualsiasi cosa “solo” perché siamo in emergenza, ma è quest’ultima a velocizzare il processo».
 
Mi dispiace smentire Stingi ma non ho alternative: i passaggi di sicurezza non si sono assolutamente fatti tutti. Se Stingi avesse ragione i produttori non avrebbero dovuto continuamente aggiornare i bugiardini con nuovi effetti avversi. Mortali. La sperimentazione si è fatta su soggetti sani, pochi anziani, poche comorbilità, e le esclusioni dall’arruolamento sono lì da vedere, persino nel documento ufficiale. Non sono state valutate le interazioni farmacologiche, la possibile oncogenicità, teratogenicità, genotossicità, ecc. ecc. Inoltre, in soli pochi mesi non è possibile verificare davvero la potenziale nocività di un farmaco. La favoletta che ci sono voluti così pochi mesi quando invece di solito servono anni per l’incredibile sforzo collaborativo mondiale non sta in piedi e non sta in piedi proprio perché in così poco tempo non si potevano vedere gli effetti avversi che poi concretamente si sono verificati durante la vaccinazione di massa con un enorme numero di vaccinati. Il tempo non serve tanto per mettere a punto il vaccino, difatti la tecnologia già esisteva, ma per vederne e verificarne gli effetti proprio in funzione dei due parametri fondamentali: efficacia e sicurezza, risultate assai discutibili entrambe, come oggi sappiamo, difatti.
 
“Conclusioni. L’intervento di Peter Doshi non mette in dubbio l’efficacia dei vaccini anti Covid attualmente in uso sia negli Stati Uniti che in Europa. La questione riguarda l’accesso ai dati grezzi delle sperimentazioni da parte della comunità scientifica, ma questo non significa che gli enti come CDC, FDA ed EMA abbiano chiuso un occhio su dei prodotti che dovevano essere immessi nel mercato per affrontare la pandemia Covid-19. Ad oggi, i dati dimostrano come tutti i vaccini approvati e somministrati nel mondo abbiano abbattuto la mortalità derivante dalla malattia”.
 
Questa conclusione è decisamente sbagliata, perché Doshi mette in dubbio l’efficacia del vaccino proprio all’inizio dicendo testualmente:” Epidemia di non vaccinati. Ma se fosse così perché sarebbe necessaria la terza dose? In UK la maggior parte dei ricoveri e dei decessi è tra i vaccinati.” E più avanti dice: “Oggi abbiamo più dati e sappiamo che c’è lo stesso numero di morti tra vaccinati e placebo. Gli studi non hanno mostrato una riduzione della mortalità per morti da covid. Le prove sono fragili. Il punto non è sapere cosa il vaccino può o non può fare. Il punto è che quelli che avevano affermato che le prove dimostravano che i vaccini erano molto efficaci nel salvare vite si sbagliavano. Le prove non lo hanno dimostrato.” Parole di Doshi. Dunque cosa abbiano fatto esattamente CDC, EMA e FDA io non lo so proprio, ma forse non hanno davvero fatto quel che avrebbero dovuto.

Dr. Silvano Tramonte
Coordinatore Gruppo Medico scientifico EUNOMIS