ANCHE IL GIUDICE DI PACE DI BOLOGNA ANNULLA L’OBBLIGO VACCINALE E LA SANZIONE DA 100 EURO PER GLI “OVER 50”

*di Barbara di Tommaso e Tommaso Tartarini

Con la sentenza n. 2501/2023 pubblicata il 19.10.2023 ( Sentenza Giudice di Pace di Bologna OVER 50), il Giudice di Pace di Bologna accoglieva il ricorso in opposizione alla sanzione amministrativa di €. 100,00 a seguito della mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate e alla conseguente decadenza da ogni facoltà di prova contraria sulle eccezioni dedotte dal ricorrente, un associato “over 50” della Associazione EUNOMIS difeso dagli avvocati dell’Associazione già vittoriosi nel caso (https://www.imolaoggi.it/2023/07/15/monza-gdp-annulla-multa-da-100-euro-a-sanitario-over-50-non-vaccinato/).

Va preliminarmente osservato come la procedura di opposizione alle sanzioni amministrative anteriforma Cartabia fosse in passato regolato dagli artt. 22, 22-bis e 23 Legge 24.11.1981 n. 689 (rubricata “Modifiche al sistema penale”).

La prima di tali norme prevedeva le modalità di proposizione del ricorso avverso la sanzione amministrativa, la seconda si occupava del riparto di competenza tra Giudice di Pace e Tribunale, mentre la terza disciplinava le modalità di svolgimento del giudizio di opposizione, dall’esame preliminare di ammissibilità e dalla fissazione di udienza fino alla pubblicazione della sentenza e al regime di impugnazione di quest’ultima.

Relativamente a tale ultimo aspetto, la versione originaria dell’art. 23 Legge 689/1981 prevedeva, all’ultimo comma, che la sentenza conclusiva del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa fosse inappellabile ed unicamente ricorribile per Cassazione. Tale comma era stato tuttavia già abrogato dall’art. 26, comma 1, lettera b), D.lgs. 02.02.2006 n. 40: tale modifica risultava applicabile alle sentenze pubblicate a decorrere dal 02 marzo 2006, le quali risultavano quindi appellabili in base alle norme “comuni” di cui agli artt. 339 e ss. c.p.c.

Ad oggi, sia l’art. 22-bis, sia l’art. 23 Legge 689/1981 risultano interamente abrogati dall’art. 34, comma 1, D.lgs. 01.09.2011 n. 150.

Tale intervento legislativo, come correttamente rilevato dalla sentenza del GDP di Bologna, ha profondamente riformato il testo dell’art. 22 Legge 689/1981 il quale, ad oggi, non disciplina più le modalità di proposizione del ricorso avverso le sanzioni amministrative, ma si limita a prevedere che “salvo quanto previsto dall’articolo 133 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e da altre disposizioni di legge, contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la sola confisca gli interessati possono proporre opposizione dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria. L’opposizione è regolata dall’articolo 6 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”.

La norma in esame stabilisce dunque una generale giurisdizione del giudice ordinario in materia di opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento.

Tale regola generale risulta ovviamente “recessiva” in presenza di disposizioni speciali di legge, che prevedano la giurisdizione amministrativa (art. 133 D.lgs. 02.07.2010 n. 104, testo legislativo dedicato appunto al riordino del processo amministrativo) o quella di altro giudice diverso dal giudice ordinario (es.: giudice tributario, contabile, etc.), e che risultano prevalenti per specialità sull’attuale art. 22 Legge 689/1981 (secondo il principio per cui lex specialis derogat generali).

Al di fuori di tali fattispecie derogatorie, la giurisdizione in materia di opposizione contro l’ordinanza-ingiunzione di pagamento e contro l’ordinanza che dispone la confisca spetta alla giurisdizione ordinaria ed il relativo procedimento si svolge secondo le disposizioni dettate dall’art. 6 D.lgs. 01.09.2011 n. 150.

Tale Decreto ha avuto quale precipuo e dichiarato scopo quello di “ridurre” e “semplificare” il procedimento civile di cognizione, secondo quanto disposto dall’art. 54 Legge 18.06.2009 n. 69 (legge-delega) ed in particolare tale opera di “semplificazione” è stata attuata mediante una riduzione dei molteplici riti in precedenza vigenti a sole tre tipologie: il rito del lavoro, il rito ordinario di cognizione ed il rito sommario di cognizione.

La materia delle sanzioni amministrative risulta quindi interessata dagli artt. 6-7 D.lgs. 150/2011 (che prevedono l’applicazione del rito del lavoro rispettivamente all’opposizione ad ordinanza-ingiunzione al verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada). Con conseguente termine di costituzione della parte resistente stabilita in dieci giorni anteriori all’udienza, analogamente a quanto prescritto nel rito del lavoro dall’art. 416 c.p.c.

Analogo termine era previsto anche dal previgente art. 23 Legge 689/1981 tuttavia, mentre sotto la vigenza della normativa abrogata tale termine era stato ritenuto dalla giurisprudenza come meramente ordinatorio e non stabilito a pena di decadenza, con conseguente facoltà per il giudice di ammettere documenti tardivamente prodotti e addirittura di rinnovare l’ordine di loro produzione rivolto alla Pubblica Amministrazione (si vedano, in tal senso, Cass. civ., sez. I, 16.03.1987 n. 2684; Cass. civ., sez. I, 09.06.1989 n. 2792 e Cass. civ., sez. I, 11.11.2004 n. 21491), l’attuale applicazione delle norme sul rito del lavoro (in particolare: art. 416 c.p.c.) portano al contrario a concludere per la perentorietà di detto termine.

Una volta scaduto quest’ultimo, la parte resistente può costituirsi in giudizio unicamente al fine di proporre mere difese o eccezioni cd. “in senso lato” (ossia rilevabili anche d’ufficio dal giudice).

La costituzione oltre tale termine comporta invece la decadenza dalla facoltà di:

  1. a) proporre domande riconvenzionali;
  2. b) proporre eccezioni sia processuali che di merito cd. “in senso stretto” (ossia non rilevabili d’ufficio dal giudice);
  3. c) chiedere l’autorizzazione alla chiamata in causa di un terzo;
  4. d) chiedere mezzi di prova e produrre documenti (compresi la copia del rapporto, gli atti relativi all’accertamento, alla contestazione e alla notificazione della violazione). Stante la gravità delle conseguenze che derivano a carico dell’Amministrazione resistente da una tardiva costituzione in giudizio, gli artt. 6 e 7 D.lgs. 150/2011 prevedono inoltre che tale termine di decadenza debba essere espressamente indicato nel decreto di fissazione della prima udienza che, unitamente al ricorso introduttivo, viene notificato alla parte resistente medesima.

Per tale motivo il Giudice di Pace di Bologna – nella sentenza in commento – riteneva che parte resistente Agenzia delle Entrate, non costituitasi in giudizio, fosse interamente decaduta da ogni facoltà probatoria con conseguente accoglimento integrale del ricorso.

Peraltro il Giudice di Pace di Bologna rileva anche l’intervenuta decadenza della sanzione per tardiva notificazione dell’avviso di addebito: l’Agenzia delle entrate-Riscossione infatti provvede ad irrogare la sanzione, ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973 n. 602, entro e non oltre duecentosettanta giorni dalla trasmissione, di un avviso  di  addebito,  con  valore  di  titolo  esecutivo.

Nel caso di specie viene rilevata dal Giudice l’intervenuta prescrizione del procedimento sanzionatorio, dal momento che la comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio veniva notificata in data 8.04.2022, risultando ampiamente trascorsi i descritti termini di notifica della sanzione (270 giorni come sopra specificato) essendo stata comunicata a mezzo posta alla ricorrente soltanto in data 13.03.2023.

Pur considerando infatti i termini concessi per le rispettive repliche a seguito della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio (10 giorni a beneficio del soggetto sanzionato oltre ulteriori 10 giorni a beneficio dell’ASL per trasmettere parere al Ministero della Salute), la comunicazione della sanzione (in data 13.03.2023) risulta – secondo il Giudice adito – senza dubbio tardiva.

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Ma oltre alle questioni meramente di rito, il ricorso veniva inoltre accolto anche nel merito per la fondatezza delle motivazioni (di salute ndr) avanzate dalla ricorrente per la consapevolezza in capo al Ministero della Salute della patologia a carico della ricorrente che giustificava un’esenzione dalla vaccinazione come da certificato sanitario dello specialista”.

La ricorrente, persona ultracinquantenne non vaccinata contro la COVID-19, consapevole della propria situazione clinica, già nella diffida in risposta alla comunicazione dell’avvio del procedimento sanzionatorio, ai sensi dell’art. 4 sexies, comma 4, del DL n. 44/2021 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 76/2021), precisava che prima di sottoporsi ad una terapia genica sperimentale cd. “vaccinazione”, peraltro senza un’adeguata copertura assicurativa o una previsione di risarcimento del danno da parte dello Stato, necessitava quantomeno di poter eseguire una serie di esami al fine di escludere gli effetti avversi, così come illustrati dal rapporto annuale di farmacovigilanza passiva pubblicato dell’AIFA, dal database europeo Eudravigilance, dal Vaers e da quelli riscontrati da Pfizer alla data del 28 febbraio 2021 con rapporto intitolato Cumulative Analysis of post Authorization adverse event reports of PF – 07302048 (BNT!&”B”) received through 28 – feb – 2021.

A tal proposito, ella sottolineava che non le sarebbe stato possibile eseguire alcuna terapia genica cd. “vaccinazione” in assenza di un’adeguata prescrizione medica, così come previsto dall’EMA e dagli allegati dei singoli bugiardini dei cd vaccini, in quanto sostanze autorizzate dalla Comunità Europea ai sensi del regolamento (CE) n. 507/2006 solo in via condizionata.

La ricorrente a seguito di tale dettagliata diffida riceveva, in data 13 marzo 2023, e quindi ben oltre i 270 giorni del termine della prescrizione dalla notifica dell’avvio del procedimento sanzionatorio, la notifica dell’avviso di addebito dell’Agenzia Entrate Riscossione ex art. 4sexies D. L. 44/2021 (convertito con modificazioni dalla Legge n. 76/2021).

La ricorrente nel ricorso in opposizione precisava – per il tramite dei legali EUNOMIS – che aveva riscontrato l’avviso del procedimento sanzionatorio nel termine dei dieci giorni, facendo presente che “non si era vaccinata a causa della sua patologia cardiologica certificata già nel lontano 2006 e confermata con recente certificazione sanitaria dallo specialista cardiologo che sconsigliava nel modo più assoluto la vaccinazione con sieri a mRNA visto il dimostrato elevato rischio di miocarditi post vaccino mRNA.

Gli avvocati dell’Associazione EUNOMIS evidenziavano quindi nel ricorsol’impossibilità di adempiere all’obbligo vaccinale, in assenza di studi sulla sicurezza dei vaccini, tuttora utilizzati in modo sperimentale e senza riscontri certi sull’efficacia in termini di prevenzione del contagio e degli effetti avversi”.

Eccepivano inoltre che l’immissione in commercio dei cosiddetti “vaccini” anti-Covid era stata autorizzata in via «condizionata» e temporanea sulla base della procedura disciplinata dal regolamento della Commissione europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006.  E che l’autorizzazione in questione, di durata annuale, si applica ai «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficacia» (art. 3, n. 1) e può essere concessa a condizione, tra l’altro, che detti «medicinali» rispondano a «esigenze mediche insoddisfatte» (art. 3, n. 1, lett. c): e cioè esigenze rispetto alle quali non esistano soluzioni terapeutiche.

Inoltre, il Regolamento (CE) 507/2006 nel considerando (11) prevede la necessità di una particolare rafforzata farmacovigilanza attiva, che allo stato in Italia e in Europea non esiste; dunque, i dati degli eventi avversi confluiti nella banca dati ufficiale dell’EMA (EudraVigilance) costituiscono soltanto la punta dell’iceberg.

Sostenevano ancora i legali EUNOMIS che la campagna vaccinale ha di fatto privilegiato l’immissione in commercio dei soli “vaccini” fondati sulla tecnica dell’mRNA, dagli effetti farmacologici e genetici non noti, come confermato dalle case farmaceutiche nei bugiardini e nel contratto di recente esibizione di Pfizer – Commissione Europea Sante/2020/C3/043 – S12.838335 pag. 48, par. 4 e dal Governo italiano nell’Atto di sindacato ispettivo del Senato della Repubblica italiana del 16 giugno 2021 n. 1-00388 nella seduta n. 337.  Ed evidenziavano che il VAERS, il principale sistema di monitoraggio degli eventi avversi, finanziato dal governo degli Stati Uniti d’America e numerosi studi scientifici annoverano tra gli eventi avversi da vaccino proprio la miocardite, una grave infiammazione del muscolo cardiaco, cui la ricorrente era fortemente esposta in ragione della certificazione medico specialistica prodotti agli atti del processo.

Ragione oggettiva per cui evidentemente il Giudice di Pace di Bologna ha implicitamente considerato come tutte le categorie di persone con problemi cardiovascolari pregressi come gli anziani con comorbilità croniche sottostanti e sistema immunitario compromesso (e gli adolescenti a causa di uno sviluppo non ancora completo del sistema immunitario) dovessero e debbano prestare una maggiore attenzione alla somministrazione del profarmaco genico di cui è causa.

Come già evidenziato dal Tribunale di Firenze, tra l’altro,  “queste sostanze – allo stato sono ancora in una fase sperimentale e mancano gli studi sulla cancerogenicitànon possono essere considerate “sicure” e soprattutto non possono essere applicate senza alcuna valutazione nel caso specifico di ogni singola persona da parte di un medico della relazione beneficio/rischi, laddove i rischi allo stato, vista la mancanza di fondamentali dati (per studi del tutto omessi oppure ancora in atto) non sono determinabili” (sentenza del 31 ottobre 2022 del Trib. Ord. di Firenze dr.ssa Zanda).

A riprova, il fatto che nel documento ufficiale con cui EMA – e per essa la Commissione UE – ha dato l’autorizzazione condizionata ai vaccini si precisa che necessitino di una prescrizione medica, ciò viene ribadito da AIFA e dai singoli allegati ai bugiardini dei sieri genici/farmaci cd “vaccini” di Spikevax (Moderna) e di Corminaty (Pfizer), i quali dopo aver elencato una serie di effetti avversi, confermano il fatto che il farmaco necessita della prescrizione medica.

Ormai è noto che le decisioni di autorizzazione condizionata di immissione sul mercato delle quattro sostanze cosiddette “vaccini Covid-19” (Comirnaty di Pfizer/BioNTech, Spikevax di Moderna, Vaxzevria di AstraZeneca e Janssen di Johnson & Johnson) prevedono nell’Allegato II Punto B:  “CONDIZIONI O LIMITAZIONI DI FORNITURA E UTILIZZO “queste sostanze sono un Medicinale soggetto a prescrizione medica” (cosi come specificato nel documento di AIFA per Comirnaty di Pfizer/BioNtech a pag. 8 e nel documento di AIFA per Spikevax di Moderna a pag. 8).

Ciò viene richiamato nei bugiardini dei vaccini di Pfizer e di Moderna.

Questo perché tali sostanze sono state autorizzate solo in via condizionata ai sensi del Regolamento (CE) n. 507/2006; e infatti nell’art. 8 del predetto Regolamento (CE) è previsto, quale condizione necessaria per l’uso legittimo di queste sostanze, a carico delle autorità sanitarie e dei sanitari coinvolti nella campagna vaccinale un rigoroso obbligo di informazione. Per tali motivi i legali della ricorrente insistevano che la somministrazione avvenisse solo in presenza di una valida prescrizione medica, previa accurata diagnosi da parte del medico, con allegazione della lista degli esami del sangue, indicazione delle familiarità e con l’indicazione specifica del tipo del cd vaccino autorizzato in via condizionata, considerando che “le quattro sostanze attualmente sul mercato quali “vaccini”-Covid-19 sono state autorizzate esclusivamente per la prevenzione della malattia Covid-19 nella persona con esse trattate, ma non per la prevenzione dell’infezione con il virus SARS-CoV-2”.

Si faceva quindi presente al Giudice di Pace di Bologna, anche in sede discussione orale della causa,  che “la prescrizione di un farmaco per un utilizzo diverso da quello indicato nella scheda tecnica del farmaco costituisce un off-label use, che nel caso di un farmaco autorizzato solo in via condizionata ha delle conseguenze giuridiche gravi”.

AIFA medesima, infatti, sostiene che per i “vaccini” – Covid-19 è prevista la prescrizione medica, ma non una prescrizione medica generica, bensì un tipo esigente di prescrizione medica: e precisamente una prescrizione ripetibile limitativa, RRL (ricetta ripetibile limitativa), che può essere rilasciata solo da centri ospedalieri o da medici specialisti.

E tale prescrizione medica RRL, regolata dall’art. 91 (Medicinali soggetti a prescrizione medica limitativa) e dall’art. 93 (Medicinali vendibili al pubblico su prescrizione di centri ospedalieri o di specialisti) D.Lgs. 219 del 24 aprile 2006, nel caso di specie è completamente mancata.

Riassumendo, quindi, la previsione della necessaria (quale condicio sine qua non) prescrizione medica ai fini della legittimità dell’inoculazione di tali sostanze non l’ha determinata autonomamente AIFA, ma è stata imposta a monte dalla Commissione Europea, che ha autorizzato ai sensi del Regolamento (CE) n. 507/2006 (relativo all’autorizzazione all’immissione in commercio condizionata dei medicinali per uso umano che rientrano nel campo d’applicazione del regolamento (CE) n. 726/2004), del Regolamento (CE) 726/2004 (che istituisce procedure comunitarie per l’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano e veterinario, e che istituisce l’agenzia europea per i medicinali) e della Direttiva 2001/83/UE (Codice Comunitario relativo ai medicinali per uso umano) in modo centralizzato con effetto per tutta l’Unione Europea e in via solo condizionata (perché mancano ancora i dati per la conferma dell’efficacia e della sicurezza) l’immissione sul mercato dei cosiddetti “vaccini” – Covid -19.

Il medico, quindi, ha il dovere deontologico (art. 13 del Codice Deontologico) di eseguire una prescrizione medica, la quale – ai fini di prevenzione – deve far seguito a una diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico. La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza.

Il medico è anche tenuto sempre a un’adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci prescritti, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e reazioni individuali prevedibili e delle modalità di impiego appropriato, efficace e sicuro dei mezzi diagnostico-terapeutici, ha l’obbligo di informare il paziente sui rischi del farmaco prima di acquisire il consenso (effettivamente) informato e deve poi valutarne gli effetti nel tempo.

Invero, nel caso di specie, la ricorrente aveva dunque diritto a un’esenzione alla vaccinazione e gli Enti destinatari della diffida anteriore alla causa, in particolare l’AUSL Bologna, avrebbero dovuto – anziché trasmettere al Ministero della Salute un parere positivo alla vaccinazione (di cui peraltro si è chiesta l’esibizione ex art. 210 cpc.) – piuttosto operare un approfondimento circa le reali condizioni di salute della ricorrente, al fine di verificare se effettivamente “le indicate condizioni di accertato pericolo per la salute di cui all’art. 32 della Costituzione” ricorressero e sconsigliassero, effettivamente, la vaccinazione, anziché consentire l’invio di una sanzione di addebito, peraltro illegittima e conseguentemente dichiarata tale dal Giudice di Pace adito.

*Avvocati del Foro di Bologna, membri Gruppo giuridico EUNOMIS


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