IL LAVORO PER I SANITARI E’ UN DIRITTO COSTITUZIONALE, NON UN SEMPLICE INTERESSE LEGITTIMO

di Teodoro Sinopoli *
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si pronunciano in tema di obbligo vaccinale (sospensione dal lavoro) per i sanitari, risolvendo il conflitto di giurisdizione tra TAR e Giudice Ordinario in favore di quest’ultimo.
Come è noto, la diffusione della Covid-19 ha richiesto molteplici interventi di emergenza che hanno inciso su vari settori (economico, sanitario, sociale, lavorativo, ecc.), determinando inevitabili riflessi e conflitti interpretativi anche sul piano giuridico.
In tale contesto, si è assistito ad un proliferare – più o meno condivisibile – di sentenze, ordinanze ed altri provvedimenti da parte dei più disparati Uffici Giudiziari (TAR, Consiglio di Stato, Giudici del Lavoro, Giudici di Pace, ecc.) che, entrando nel merito delle controversie, hanno sancito principi e criteri ai quali attenersi nell’applicazione delle norme contenute nella decretazione d’urgenza.
In particolare, in materia di sospensione dal lavoro per inottemperanza all’obbligo vaccinale (normativamente previsto per alcune categorie di lavoratori, tra i cui i sanitari), sono state spesso assunte decisioni da parte dei TAR e del Consiglio di Stato – competenti a pronunciarsi sugli interessi legittimi – anche laddove le doglianze dei lavoratori, sul piano sostanziale, erano rivolte a contrapporre alla sospensione il loro diritto al lavoro costituzionalmente garantito.
Si è così giunti – dopo un frastagliato percorso giurisprudenziale, caratterizzato, a volte, da declaratorie di incompetenza (difetto di giurisdizione) e riassunzioni del procedimento davanti ad altro Giudice e, a volte, da pronunce opinabili quanto alla loro legittimità – ad un importante provvedimento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Ordinanza n. 28429 del 29 settembre 2022), le quali, a seguito di un conflitto negativo di giurisdizione sollevato dal TAR Marche, in una controversia promossa da un fisioterapista, libero professionista, contro un’Azienda Sanitaria e contro il relativo Ordine Professionale, avente ad oggetto i provvedimenti con cui detto Ordine lo aveva sospeso dall’esercizio della professione sanitaria per mancata ottemperanza all’obbligo vaccinale, hanno stabilito che, in siffatte ipotesi, la cognizione appartiene al Giudice ordinario (e non amministrativo) e così al Tribunale civile sezione Lavoro.
Per comprendere appieno il ragionamento svolto dalle SS.UU., pare opportuno delineare brevemente l’assetto normativo applicabile alla fattispecie sottoposta all’esame della Corte.
L’art. 4, comma 1, del D.L. 1 aprile 2021, n. 44 (convertito, con modificazioni, nella L. 28 maggio 2021, n. 76), ai fine di tutelare teoricamente la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, ha imposto agli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, l’obbligo della vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 sino al 31 dicembre 2021.
Il termine di efficacia della misura è stato, poi, prorogato più volte, dapprima, di sei mesi a decorrere dal 15 dicembre 2021 e, quindi, sino al 31 dicembre 2022.
A norma dello stesso art. 4, comma 1, la “vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione”.
L’esenzione dalla vaccinazione obbligatoria o il suo differimento può aversi soltanto “in caso in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” (art. 4, comma 2).
La disposizione è stata, poi, modificata dal citato D.L. n. 76 del 2021, in forza del quale l’attestazione delle condizioni di esenzione dall’obbligo vaccinale è stata consentita anche al medico vaccinatore nel “rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2”.
L’art. 4, dal comma 3 al comma 7, ha, quindi, previsto una articolata scansione procedimentale volta a regolare le modalità operative dell’obbligo vaccinale e a verificarne l’adempimento, attribuendone i compiti, perlopiù, a Regioni ed ASL.
Tale scansione di termini e modalità di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale (delineata dalla formulazione originaria del D.L. n. 44 del 2021, art. 4) è stata poi oggetto di modificazioni; in particolare, sono stati rimessi all’Ordine professionale territorialmente competente – e, dunque, non più alle Regioni e, poi, alle ASL – i compiti (i) di verifica del possesso delle certificazioni verdi COVID-19, (ii) di invito all’interessato a presentare la documentazione attestante l’effettuazione della vaccinazione o la richiesta di vaccinazione, ovvero ancora la documentazione attestante le condizioni di esenzione o l’insussistenza dei presupposti dell’obbligo vaccinale e (iii) di accertamento del “mancato adempimento dell’obbligo vaccinale”.
Ciò posto, sulla scorta di tale quadro normativo e viste le ragioni giuridiche della domanda del lavoratore, le SS.UU., hanno stabilito che, nel caso di specie, la giurisdizione spettava al Giudice ordinario.
Ed infatti, spiegano le SS.UU., l’azione giudiziaria del fisioterapista era rivolta a rivendicare (e a far prevalere) il diritto al lavoro professionale – che trova, anch’esso, garanzia a livello costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.; e sul piano sovranazionale, l’art. 15 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che pone in correlazione il “diritto di lavorare” e quello di “esercitare una professione liberamente scelta o accettata”) – contro l’obbligo vaccinale.
Dunque, la situazione di diritto soggettivo rivendicata dal lavoratore sospeso – ossia di continuare ad esercitare la propria attività di fisioterapista – vista la normativa impositiva dell’obbligo vaccinale, contro la quale sono state direttamente rivolte le doglianze dell’istante, non è intermediata dal potere amministrativo.
In altri termini, nessun potere discrezionale (ma solo vincolato) è attribuito alla pubblica amministrazione nella conformazione del diritto all’esercizio della professione sanitaria, il cui svolgimento – e, dunque, il suo pieno dispiegarsi come posizione soggettiva piena e immediatamente tutelabile – viene sospeso temporaneamente in ipotesi di inadempimento dell’obbligo vaccinale in forza delle previsioni dettagliatamente recate dalla fonte legislativa.
Questa, dunque, sinteticamente, la motivazione delle Sezioni Unite.
Vi è tuttavia da segnalare che, in palese contrasto con la commentata pronuncia, il Consiglio di Stato ha di recente (sentenza n. 8434 del 3 ottobre 2022) nuovamente stabilito che sulla domanda di annullamento del provvedimento di sospensione dal lavoro dell’esercente la professione sanitaria (che rifiuti di sottoporsi alla vaccinazione obbligatoria), sussiste la giurisdizione del Giudice amministrativo, essendo irrilevante che le norme in questione (art. 4 DL n. 44/21) prevedano poteri vincolati in capo alla Pubblica Amministrazione; e, ciò, in virtù del fatto che, anche a fronte di un potere vincolato, la posizione soggettiva del cittadino è di interesse legittimo tutte le volte che alla P.A. venga attribuito un potere autoritativo per tutelare gli interessi pubblici.
*Avvocato, membro Gruppo giuridico EUNOMIS


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