SPIKEOPATIA – La malattia da proteina spike

di Silvano Tramonte*

Avete letto bene, è ufficiale, la proteina spike sia virale e sia vaccinale, procura una patologia sindromica che oggi ha un nome: spikeopatia, in inglese spikeopathy. L’ho definita malattia sindromica, dove sindrome significa insieme di sintomi, poiché non è chiara l’eziopatogenesi, ma è chiaro che sia una patologia e come tale sia da studiare e capire e poi, magari, finalmente, trattare.

È uscito un articolo su Biomedicina 2023, 11 (8), 2287 ( https://doi.org/10.3390/biomedicines11082287), firmato da sei ricercatori australiani, che è una revisione narrativa della letteratura esistente sui danni da spike e, in quanto tale, facilmente leggibile anche da un non addetto ai lavori. In forza di ciò, ne riporterò lunghe parti di testo originale (in corsivo ridotto e virgolettato), benché tradotto in italiano, per una maggiore e più completa informazione, seguite, eventualmente, da un mio breve commento.

“In questa revisione narrativa, esaminiamo le prove concrete di una contro-narrativa al messaggio “sicuro ed efficace” che ha accompagnato i nuovi vaccini contro il COVID-19, che sono stati sviluppati “a grande velocità” con grande speranza di porre fine alla pandemia. Queste prove hanno accumulato e smorzato l’ottimismo originario. Le implicazioni per il riconoscimento delle diagnosi correlate ai vaccini (per i loro effetti avversi. NdR) e la necessità di terapie sono significative e devono essere considerate da tutti gli operatori sanitari e da molti ricercatori.

Le principali aree problematiche sembrano essere la tossicità della proteina spike, sia del virus sia quella prodotta dai codici genetici contenuti nei nuovi vaccini COVID-19 mRNA e adenovettoreDNA (vaccino il cui vettore era costituito da un adenovirus incompetente per la replicazione per portare all’interno della cellula la sequenza del codice genetico che codifica per la proteina spike. NdR), da cui il nuovo termine ” spikeopatia “; le proprietà infiammatorie di alcune nanoparticelle lipidiche utilizzate per trasportare l’mRNA; N1-metilpseudouridina nell’mRNA sintetico che provoca un’azione di lunga durata (l’mRNA originale virale viene modificato e ingegnerizzato per renderlo più resistente e duraturo. NdR); un’ampia biodistribuzione dei codici mRNA e DNA, rispettivamente attraverso le matrici delle nanoparticelle lipidiche e dei vettori virali e il problema delle cellule umane che producono una proteina estranea nei nostri ribosomi che può provocare autoimmunità (la proteina spike è più resistente a sua volta e duratura rispetto alla proteina virale. NdR).”

 Ricordo che appena esaminai i documenti e gli studi relativi ai vaccini, la prima cosa che pensai fu proprio che la proteina spike vaccinale, così concepita, cioè pari pari identica alla virale, sarebbe stata uno xenobiotico, cioè una tossina, e non sapevo ancora che era stata resa più resistente alle proteasi e più duratura mediante ingegnerizzazione genica! L’idea di costringere le nostre cellule a produrre una tossina aliena mi sembrava davvero piuttosto azzardata e pericolosa fin dall’inizio e mi convinse ad aspettare di vederne le conseguenze prima di prendere posizione. Provai ad esprimere questi dubbi nel massimo gruppo professionale su FB e ovunque potessi, ma sempre venivo zittito da un coro di insulti o inviti a laurearmi in medicina o a studiare la materia. E siccome poi io non mi zittivo affatto, venivo allontanato.

 “Molti vaccini COVID-19 sono stati sviluppati in tutto il mondo. Nelle nazioni non occidentali, per la maggior parte dei vaccini si sono utilizzate tecnologie virali tradizionali basate su proteine inattivate. I vaccini mRNA e adenovettoreDNA sono stati prodotti da grandi aziende farmaceutiche e favoriti (in modo perfino smaccato. NdR) dalle autorità di regolamentazione nella maggior parte delle nazioni occidentali. È stato ampiamente affermato che questi vaccini hanno salvato milioni di vite. Sono state nutrite sincere speranze per questa narrazione. Ma questa convinzione è in gran parte fondata sulle stime dei modelli IFR (Infection Fatality Rate) precoci e sulle affermazioni di efficacia di Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Janssen, che sono state minate da nuovi dati.”

 Tutto chiaro meno, probabilmente, l’IFR. Questo acronimo sta, come abbiam o visto, per Infection Fatality Rate, in italiano, tasso di letalità dell’infezione. È un numero che rappresenta il rapporto tra decessi e ammalati: al numeratore i decessi, al denominatore il numero di ammalati. Quindi se abbiamo 1 decesso su 100 ammalati il tasso sarà 1/100=0,01. Va da sé che per fare questo calcolo bisogna avere i dati corretti, cioè l’esatto numero dei morti e l’esatto numero di ammalati. Ben che vada, poiché non è facile contare davvero i morti per quella sola causa e meno facile ancora contare gli ammalati per non dire impossibile, tocca aspettare che l’evento pandemico o epidemico si sia esaurito e, a bocce ferme, si conta. Ma sarà sempre una stima approssimativa. Ora, se è approssimativa la stima definitiva, come si poteva calcolare l’IFR della covid19 all’inizio della pandemia per valutarne la pericolosità e dunque fare un corretto bilancio tra rischi e benefici delle varie decisioni da prendere e poi prese quel benedetto gennaio del 2020 che portò a dichiarare l’emergenza nazionale e tutto quello che seguì? Non si poteva. Non si poteva in alcun modo. Si può però, dato che decisioni comunque vanno prese, cercare di basarsi su previsioni matematiche, i famosi algoritmi dell’OMS. Ma le previsioni matematiche hanno comunque bisogno di dati e se i dati non ci sono, o, peggio, sono sbagliati o falsi, ecco che le stime di previsione sono totalmente sballate.

“Lo scopo di questa revisione narrativa è presentare un resoconto completo della patogenicità dell’antigene (spike vaccinare, NdR), della biodistribuzione dei codici genetici (mRNA, DNA. NdR) per l’antigene in tutto il corpo, della loro natura modificata per una lunga durata, in particolare con i vaccini a mRNA, e della letteratura e dei dati che mostrano gli eventi avversi che ci si aspetta da tale biodistribuzione e produzione cellulare di un antigene alieno (xenobiotico. NdR). Questa revisione rivela che è stato un caso di traduzione prematura della tecnologia sperimentale della terapia genica in una vaccinazione pubblica di massa e che suscita questioni etiche e normative che necessitano di esame e riforma prima della prossima pandemia.

Al centro delle decisioni relative al consenso informato individuale e delle politiche di sanità pubblica è la valutazione dei rischi di una malattia rispetto ai rischi e ai potenziali benefici di un intervento. Considerati i rischi dei nuovi vaccini contro il COVID-19 basati sui geni, ne è valsa la pena alla luce della gravità dell’infezione da SARS-CoV-2? Affrontiamo innanzitutto i rischi del COVID-19.”

 Interessante notare la frase: “Considerati i rischi dei nuovi vaccini…” in cui si dà per scontato che i vaccini siano rischiosi. Non è una supposizione ma un’affermazione che discende dallo studio eseguito che rivela come sia stata affrettata è prematura la trasposizione nella pratica clinica di questa metodologia mai sperimentata prima a questi scopi in una popolazione sana. Si legge nel grassetto.

“È evidente che il ceppo originale di Wuhan e le prime varianti di SARS-CoV-2 nel 2020 erano più patogeni delle varianti successive. Ciò è coerente con la tipica evoluzione adattativa virale verso ceppi più infettivi ma meno patogeni, un fenomeno naturale che è fortunato per l’umanità.”

In questa semplice frase è racchiusa una grande verità: i medici, tutti i medici del mondo, che si occupano di questi temi, sanno che i virus tendono ad adattarsi all’ospite per garantirsi la sopravvivenza. Ma, lo sanno anche la maggioranza degli altri medici, dunque ci sarebbe da chiedersi come diavolo è stato possibile che se lo siano dimenticato o non ne abbiano tenuto conto. Non tutti, però. Ci sono stati dei medici che si sono opposti alla narrazione ufficiale, ma sono stati travolti. Perché?

 “L’affermazione secondo cui i vaccini COVID-19 hanno salvato molti milioni di vite si basa su un modello basato sui tassi di mortalità (CFR) in Cina nel febbraio 2020 pubblicato da Verity et al. in The Lancet. Gli autori hanno stimato un CFR del 6,4% (5,7–7,2) nei soggetti di età superiore a 60 anni e “fino al 13,4% (11,2–15,9) in quelli di età pari o superiore a 80 anni… con un tasso di letalità complessivo per infezione per la Cina dello 0,66% (0,39–1,33)” (estratto). Fortunatamente, il virus è mutato e queste previsioni modellate non si sono concretizzate con lo sviluppo della pandemia nei tre anni successivi.”

 Mi corre l’obbligo di precisare, però, a proposito del CFR, alcune cose. CFR è acronimo inglese che sta per Case Fatality Rate ed esprime il numero di decessi sul numero dei casi diagnosticati. Il numero dei casi diagnosticati dipende da quante persone ricorrono alle cure mediche tra quanti sono sintomatici e questo dipende non solo dalla gravità dei sintomi ma anche dal modo di “vivere” il sintomo da parte del paziente, assai variabile tra l’ipocondria e l’incoscienza. Inoltre, il numero dei morti dipende dalle cure eseguite e dalla loro maggiore o minore appropriatezza, e sappiamo che non erano affatto appropriate. Infine, abbiamo preso per buoni i dati cinesi e li abbiamo utilizzati dando per scontato che fossero corretti, sia quelli sulla letalità (numero di morti sulla popolazione ammalata) e sia quelli sulle terapie (https://www.youtube.com/watch?v=aOZIAful0Ns), e quelli sulle terapie non lo erano. Forse non lo erano nemmeno quelli sulla letalità…

“I vaccini contro il Covid-19 hanno salvato vite umane dal Covid-19, ma non è chiaro quante.”

 Non solo, ma oggi sappiamo che a fronte di una protezione iniziale di pochi mesi, l’effetto velocemente decade e per questo si sono fatte dosi plurime in moltissimi pazienti, ottenendo un effetto sempre più debole e sempre meno duraturo fino ad una inversione di protezione per cui i soggetti si trovavano più suscettibili alle infezioni e dunque il calcolo delle vite salvate fatto a pochi mesi dalla prima dose, la più efficace, è ben diverso da quello che si potrebbe fare ora, con somministrazioni multiple e a molti mesi dall’inizio della campagna vaccinale. Poi vedremo i dati proprio su questo punto.

 L’affermazione di milioni di vite salvate dai vaccini genici per COVID-19 era in parte basata sul presupposto che tali farmaci proteggessero dall’infezione e dalla trasmissione, il che non era vero perché l’immunità sistemica ai virus respiratori non è efficace quanto l’immunità delle mucose per queste infezioni, e anche a causa delle varianti in continua evoluzione, forse in parte guidate dall’evasione adattativa degli anticorpi indotti dal vaccino. Pfizer ha ammesso che il suo studio clinico di fase 3 non ha testato la trasmissione virale.”

 Anche qui bisogna un pochino leggere tra le righe a causa dell’elevata censura cui sono sottoposti gli articoli su questo tema, ancora oggi. Dunque, si badi, che gli autori non smentiscono direttamente l’affermazione che questi vaccini hanno salvato milioni di persone, ma affermano che tale affermazione era basata su un presupposto falso, il che è lo stesso ma certamente è detto in modo più soft e indiretto; poi, insinua il dubbio che la vaccinazione potrebbe aver selezionato varianti, come reazione alla pressione vaccinale, capaci di rendere ancora meno efficace il vaccino, confermando in tal modo l’affermazione che in molti facevamo che non si vaccina in corso di epidemia.

 “Tuttavia, le presunzioni di efficacia sono state sostenute dai modellisti del COVID-19 e ribadite dalle autorità sanitarie, dalle pubblicazioni mediche e dai media.

Ciò è dimostrato da Watson et al., (2022) in “Impatto globale del primo anno di vaccinazione COVID-19: uno studio di modellizzazione matematica”, pubblicato su The Lancet Infectious Diseases. Gli autori stimano circa 14,4 milioni di vite salvate in relazione ai benefici della vaccinazione che includono la protezione contro l’infezione e la trasmissione, entrambi ora riconosciuti infondati. Questa stima suppositiva di Watson et al. persiste come un fatto accettato, mentre i dati sul tasso di mortalità per infezione nel mondo reale (IFR) parlano contro la necessità della vaccinazione nei non anziani.

In breve, Roussel et al. all’inizio del 2020 ha presentato un’analisi statisticamente significativa che ha paragonato il tasso di mortalità per SARS-CoV-2 a precedenti coronavirus e malattie simil-influenzali: nei paesi OCSE, il tasso di mortalità per SARS-CoV-2 (1,3%) non era significativamente diverso da quello per i coronavirus comuni identificati negli ospedali pubblici di Marsiglia, Francia (0,8%; p = 0,11). Se la modellizzazione si fosse basata su questi dati pochi mesi dopo i dati iniziali cinesi, sarebbero state fatte proiezioni diverse, più in linea con le eventuali statistiche sulla mortalità, comprese quelle nel 2020, prima della disponibilità del vaccino.

Ioannidis et al. nel 2022, in un articolo intitolato “La previsione del COVID-19 è fallita”, ha criticato i modelli che ignoravano i bassi IFR emersi nella prima metà del 2020.

Ioannidis et al:

“Nonostante questi evidenti fallimenti, le previsioni sull’epidemia [COVID-19] hanno continuato a prosperare, forse perché previsioni ampiamente errate in genere non avevano gravi conseguenze… Dopo aver acquisito prove solide sulle caratteristiche epidemiologiche dei nuovi focolai, previsioni non plausibili ed esagerate (Ioannidis, 2020d) dovrebbero essere abbandonato. Altrimenti potrebbero causare più danni del virus stesso”.

 Le narrazioni sociali, una volta radicate, diventano difficili da modificare.

Stime accurate delle vite salvate o perse a seguito dei vaccini basati sul gene COVID-19 avrebbero richiesto studi a lungo termine sugli individui vaccinati rispetto a quelli non vaccinati. Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Janssen alla fine hanno vaccinato quasi tutti i soggetti trattati con placebo, perdendo così il loro gruppo di controllo. Ciò si basava su principi etici data la paura del COVID-19, ma la perdita di integrità scientifica derivante solo da studi a breve termine controllati con placebo è stata notata dal gruppo di esperti ad hoc dell’OMS sui prossimi passi per la valutazione di Covid-19 (2020).”

 Maliziosamente, però, non si può non notare che il venire meno così repentinamente, prematuramente e provvidamente della possibilità di confronto tra il gruppo vaccinato e il gruppo controllo ha impedito di fare qualunque valutazione scientificamente validabile della effettiva efficacia dei vaccini, e, dunque, permetteva di continuare a sostenerne l’efficacia.

 “Per colmare questo deficit, un’organizzazione privata con sede nel Regno Unito, Control Group Cooperative, ha raccolto dati dal lancio della vaccinazione contro il COVID-19 ed è l’unico gruppo di controllo a livello mondiale. Di questa coorte non vaccinata, 18.497 hanno partecipato a un sondaggio che riportava test positivi per COVID-19 e gravità dei sintomi tra settembre 2021 e febbraio 2022. Un quarto (4.636, 25,1%) ha riferito di aver manifestato una malattia sintomatica da COVID-19. I sintomi sono stati segnalati come “lievi” dal 14,4%, “moderati” dall’8,7% e “gravi” dal 2%. Altri 560 hanno riportato una malattia asintomatica e dei 5.196 con COVID-19, solo 74 (1,4%) hanno riferito di essere stati ricoverati in ospedale (come pazienti ricoverati o ambulatoriali) con 21 (0,4%) ricoverati per più di 1 settimana. Come sondaggio auto-riportato, le limitazioni includevano decessi che potrebbero non essere stati segnalati; tuttavia, il gruppo ha avuto risultati migliori del previsto. Il gruppo era forse insolito in quanto il 71% assumeva una combinazione di vitamine C, D.”

 Riassumo: 18.497 persone non vaccinate hanno partecipato ad un sondaggio da cui è risultato che: Il 25,1% ha riferito malattia sintomatica di cui gravi solo il 2%, e 56° malattia asintomatica. Di queste 5.196 persone solo 1,4% è stato ricoverato in ospedale di cui lo 0,4% per più di una settimana.

“… i dati sanitari del governo statale australiano (NSW) di novembre e dicembre 2022

ICU= terapia intensiva

dimostrano che i non vaccinati non sono quasi rappresentati nei dati di ricovero mentre i più vaccinati sono sovrarappresentati. La percentuale di non vaccinati nel NSW era bassa, pari al 3,2%; tuttavia, la percentuale di non vaccinati con COVID-19 grave è inferiore a quella della fine del 2022, pari al 2,9%. Anche tenendo conto di un maggior numero di richiami del vaccino COVID-19 negli anziani e nei soggetti vulnerabili, i dati non suggeriscono un’efficacia significativa contro l’ospedalizzazione, il ricovero in terapia intensiva e la morte, almeno dopo l’emergenza del ceppo Omicron.

Per le settimane 51 e 52 del 2022, i dati del governo del NSW documentano zero ricoveri e sei decessi per le persone non vaccinate, ma 1415 ricoveri e 82 decessi tra le persone vaccinate. NSW Health non pubblica più lo stato delle vaccinazioni. Questi dati non supportano la premessa secondo cui le vaccinazioni hanno “salvato milioni di vite”, ma indicano invece che le correlazioni tra più dosi con la grave malattia da COVID-19 meritano di essere indagateC’è stato un aumento della mortalità per tutte le cause contemporaneamente al lancio dei vaccini basati sul gene COVID-19 e questo merita ulteriori ricerche.

I modelli matematici producono numeri altamente incerti che predicono il futuro. Queste previsioni possono diventare politicizzate. Per garantire che le previsioni non diventino bandiera di una causa politica, i modellisti, i decisori e i cittadini devono stabilire i fatti del mondo reale che ci rendono tutti responsabili.

Se i vaccini contro il COVID-19 sono meno efficaci di quanto originariamente sperato e successivamente affermato, allora il processo decisionale sul rapporto rischi/benefici per il consenso informato individuale e la politica di sanità pubblica cambia. L’entità del danno causato dalla nuova tecnologia del vaccino basato sui geni potrebbe quindi superare qualsiasi beneficio.”

 Il testo precedente è talmente chiaro che mi sono limitato a mettere in grassetto le frasi importanti.

Questa è una revisione narrativa della letteratura che fornisce prove della tossicità e quindi della patogenicità della proteina spike sia virale e sia vaccinale.

Esamina anche le prove della letteratura relative al profilo di tossicità e biodistribuzione preoccupante per le matrici vettore di nanoparticelle lipidiche usate per portare l’informazione genica all’interno delle cellule per i vaccini mRNA Moderna e Pfizer e Novavax COVID-19 a base proteica; alla natura modificata dell’mRNA sintetico che spiegherebbe la persistenza prolungata dell’mRNA e la produzione di proteine ​​ad alto picco; al fenomeno della variazione dei “lotti errati” nelle segnalazioni di eventi avversi e le relative considerazioni sui rischi/benefici stratificati per età per le vaccinazioni contro il COVID-19, in particolare per le coorti pediatriche e di giovani adulti.

Questi aspetti farmacocinetici e farmacodinamici si riferiscono alla patogenicità dei vaccini COVID-19 basati sui geni. Gli aspetti farmacocinetici della biodistribuzione dei vaccini COVID-19 basati sui geni sono simili a un agente “infettivo”, in una fase invasiva o trasmessa per via ematica, poiché distribuiscono gli effetti patogeni della proteina spike per tutto il corpo.

Questa revisione presenta prove tratte dalla letteratura accademica, nonché dalla farmacovigilanza e dai documenti degli studi clinici Pfizer, per assistere gli organi regolatori e le autorità sanitarie nel rivalutare la tossicità dell’mRNA e del picco prodotto dall’adenovettoreDNA. Sta emergendo una nuova patologia che potrebbe essere definita “spikeopatia”. È inoltre fondamentale valutare in futuro il potenziale di eventuali nuovi fenomeni autoimmuni guidati dalla produzione di antigeni estranei causati da qualsiasi nuova tecnologia basata su mRNA o DNA.

Esamina, infine, le prove dei danni causati dalla “spikeopatia” per sistema d’organo:

  • La proteina spike SARS-CoV-2 è patogena, sia derivante dal virus sia creata dal codice genetico nei vaccini mRNA e adenovettoreDNA.
  • I dati dello studio sulla biodistribuzione sui roditori mostrano che le nanoparticelle lipidiche trasportano l’mRNA a tutti gli organi e attraversano le barriere emato-encefalica e emato-placenta. È probabile che alcuni di questi tessuti siano impermeabili alle infezioni virali; pertanto, il rischio biologico deriva soprattutto dalla vaccinazione.
  • Le nanoparticelle lipidiche hanno proprietà infiammatorie.
  • La modifica da ingegneria genetica dell’mRNA per una maggiore stabilità porta alla produzione di proteine ​​​​spike per mesi. Non è chiaro quante cellule e da quali organi vengano prodotte le proteine ​​​​spike dell’mRNA e, pertanto, non è nota l’esatta dose di spike somministrata per fiala di vaccino, né per quanto tempo viene prodotta.
  • Il destino a lungo termine dell’mRNA all’interno delle cellule è attualmente sconosciuto.
  • I vaccini mRNA e adenovettoreDNA agiscono come “virus sintetici”.
  • Nei soggetti giovani e sani, e anche in molti individui più anziani più vulnerabili per comorbilità, i vaccini COVID-19 basati sulla codifica probabilmente aggrediranno un insieme di tessuti molto più diversificato rispetto all’infezione da parte del virus stesso.
  • Le prove suggeriscono che è possibile la trascrizione inversa dell’mRNA nel DNA cellulare. Ciò suggerisce ulteriormente la possibilità di trasmissione intergenerazionale se le cellule germinali (spermatozoi e ovociti femminili) incorporano la copia del DNA nel genoma ospite.
  • La produzione di proteine ​​estranee come le proteine ​​​​spike sulle superfici cellulari può indurre risposte autoimmuni e danni ai tessuti. Ciò ha implicazioni profondamente negative per qualsiasi futuro farmaco o vaccino basato sull’mRNA.
  • La proteina spike esercita i suoi effetti fisiopatologici (“spikeopatia”) attraverso diversi meccanismi che portano all’infiammazione, alla trombogenesi, al danno tissutale correlato all’endotelite e alla disregolazione proteica correlata ai prioni.
  • L’interazione della proteina spike codificata dal vaccino con ACE-2 (recettore multitessutale), P53 e BRCA1 (geni collegati alla patologia tumorale) suggerisce un’ampia gamma di possibili interferenze biologiche con il potenziale oncologico.
  • I dati sugli eventi avversi provenienti dai database ufficiali di farmacovigilanza e un rapporto FDA-Pfizer ottenuto tramite FOI mostrano tassi elevati di eventi avversi e molteplici sistemi di organi colpiti: principalmente neurologici, cardiovascolari e riproduttivi.
  • I dati degli studi clinici sui vaccini Pfizer e Moderna mRNA COVID-19, interpretati in modo indipendente, sono stati sottoposti a revisione paritaria e pubblicati per mostrare un rapporto rischio/beneficio sfavorevole, soprattutto nei non anziani. I rischi per i bambini superano chiaramente i benefici.
  • Dosi ripetute di richiamo del vaccino COVID-19 sembrano indurre tolleranza e possono contribuire all’infezione ricorrente da COVID-19 e al “LONG COVID”.
  • La pandemia di SARS-CoV-2 ha rivelato carenze nelle agenzie di regolamentazione della sanità pubblica e dei medicinali.
  • È necessaria un’analisi delle cause profonde di quella che ora appare una risposta affrettata e sconsiderata.
  • Le modalità di trattamento per le patologie correlate alla “spikeopatia” in molti sistemi di organi richiedono una ricerca urgente di terapie da fornire a milioni di malati di lesioni da vaccino COVID-19 a lungo termine.

L’articolo si conclude in modo tanto chiaro ed indiscutibile che non posso fare altro o meglio che riportarne la conclusione originale.

“In questa revisione narrativa, abbiamo stabilito il ruolo della proteina spike SARS-CoV-2, in particolare della subunità S1, come patogena. Ora è anche evidente che le proteine ​​​​spike ampiamente biodistribuite, prodotte dai codici genetici dell’mRNA e del DNA adenovettoriale (dei vaccini, NdR), inducono un’ampia varietà di malattie. I meccanismi fisiopatologici e biochimici sottostanti sono in fase di chiarimento. I trasportatori di nanoparticelle lipidiche per i vaccini mRNA e Novavax hanno anche proprietà proinfiammatorie patologiche. L’intera premessa dei vaccini basati sui geni che producono antigeni alieni nei tessuti umani è irta di rischi per disturbi autoimmuni e infiammatori, soprattutto quando la distribuzione non è altamente localizzata.

Le implicazioni cliniche che seguono sono che i medici in tutti i campi della medicina devono essere consapevoli delle varie possibili presentazioni della malattia correlata al vaccino COVID-19, sia acuta sia cronica, e del peggioramento delle condizioni preesistenti. Sosteniamo inoltre la sospensione dei vaccini COVID-19 basati sui geni e delle matrici portatrici di nanoparticelle lipidiche e di altri vaccini basati sulla tecnologia mRNA o DNA vettoriale virale. Una strada più sicura è quella di utilizzare vaccini con proteine ​​ricombinanti ben testate, tecnologie virali attenuate o inattivate, di cui ora ce ne sono molti per la vaccinazione contro la SARS-CoV-2.”

 Questo articolo riporta come certezza tutto ciò che ho dubitato e considerato fin dall’inizio quando ho cominciato a studiare questi sedicenti vaccini e ne ho temuto gli effetti ed i rischi potenziali. Non era difficile dubitare, per un medico, e io sono solo un piccolo piccolo medico preoccupato dei suoi pazienti, eppure l’abbiamo fatto in pochi e fin dal primo giorno scherniti e squalificati dalla stragrande maggioranza dei colleghi a tutti i livelli di competenza, su su fino ai livelli massimi in cui si prendono decisioni e si danno consulenze ai maggiori organismi planetari, sanitari e politici. E ora, con la morte nel cuore, io mi chiedo: perché?

 


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