Nella notte tra il 6 e il 7 gennaio scorso, profittando ancora una volta delle tenebre, quello che era stato pomposamente fin dal suo insediamento definito il “Governo dei migliori” ha varato, con l’avallo del Presidente della Repubblica (il nostro Garante della Costituzione) da poco reincaricato per un altro settennio, il quarto Decreto Legge in poche settimane (il terzo durante le festività natalizie) entrando di diritto nella storia della Repubblica italiana e della Unione Europea – a nostro modesto avviso – come il “Governo dei discriminatori”.
Provvedimenti questi tutti, diciamolo subito, di non agevole decifrabilità anche per i giuristi, inneggianti costantemente all’assunzione “urgente e necessaria” (ricordiamo che l’art.77 del dettato costituzionale pone queste due severe condizioni di garanzia alla decretazione d’urgenza, qui evidentemente ormai più non rispettate), di “misure urgenti per il contenimento (!) dell’epidemia da COVID-19 e per lo svolgimento in sicurezza (!!) delle attività economiche e sociali”.
Provvedimenti tutti che, nella premessa (incipit), invocano come fonte normativa superiore di riferimento e giustificazione, l’art.16 della Costituzione che prevede la limitazione alla circolazione all’interno dello Stato in casi di eccezionali ragioni sanitarie, ma che non prevede e consente alcuna limitazione ad altri diritti fondamentali.
Saremo brevi nel riassumerli.
Prima con il D.L. 172 del 26 novembre (quello che doveva garantire il famoso Natale sereno e in sicurezza in famiglia agli italiani e che già a sua volta faceva seguito al D.L. 127 introduttivo del cd. “passaporto verde” sui luoghi di lavoro):
1) si è esteso l’obbligo vaccinale già esistente agli operatori sanitari, allungandone i tempi di durata temporale, modificando i termini di verifica della sua adesione, cambiando l’organismo deputato a sanzionare l’omissione della vaccinazione con la sospensione del sanitario (dalle ASL agli Ordini professionali di riferimento), revocando il precedente DL 44 del 1 aprile 2020 che aveva introdotto detto obbligo vaccinale.
2) si è esteso l’obbligo vaccinale alle categorie del personale scolastico e delle forze dell’ordine, prima non tenute, sanzionando gravissimamente gli inadempienti con la perdita provvisoria del posto di lavoro e dello stipendio;
3) si è prevista l’abolizione per i sanitari, e non si è inserita la previsione per gli altri lavoratori, di un sistema alternativo alla sospensione del rapporto di lavoro con privazione dello stipendio, in caso di mancata adesione all’obbligo vaccinale, ove il rapporto di lavoro fosse svolto non “a contatto”. Negando quindi per legge alle predette categorie di lavoratori l’attività in smart working (dal marzo 2020 ad oggi in gran voga e continuamente incentivata dai due Governi Conte-bis e Draghi che si sono succeduti), seppur logicamente non produttiva di alcuna possibilità di contagio (come in precedenza sancito da alcuni Giudici nazionali).
Prima del Santo Natale, il Governo ci ha poi “deliziato” con il D.L. 221 del 24 dicembre che è andato in vigore il giorno di Natale, e ha prorogato, senza alcuna motivazione giuridico scientifica oggettivamente incontrovertibile, al 31 marzo 2022 lo stato di emergenza “sanitaria” nazionale, nonostante che si siano ormai oltrepassati i due anni di durata previsti dalla legge sulla protezione civile del 2018 (in questa sede è stato infatti prorogato al 31 marzo 2022, a decorrere dal lontano 31 gennaio 2020 quando fu instaurato dal Governo Conte bis).
Sempre in nome delle predette asserite oggettive ragioni di necessità e di urgenza è venuto alla luce il D.L. n.229 del 30 dicembre scorso.
I due provvedimenti, ne accorpiamo i contenuti principali:
– hanno ridotto la validità delle certificazioni verdi da 9 a 6 mesi (in ragione della da tempo conclamata inefficacia nella durata della protezione vaccinale) , dal 1 febbraio 2022, riducendole però anche per gli ormai dieci milioni circa e più di italiani guariti dal covid e adeguatamente certificati che ancora hanno dati anticorpali altissimi e che non necessitano per l’opinione della comunità scientifica internazionale e nazionali (e non solo) di alcuna inoculazione in quanto ben protetti dalla loro immunità naturale acquisita (come previsto anche dalla cd. “Legge Lorenzin”).
– hanno imposto l’uso delle mascherine all’aperto, anche in zona bianca, nonché l’uso delle cd. FPP2 in occasione di spettacoli sia all’aperto che al chiuso e su tutti i mezzi di trasporto (tranne l’auto privata, la motocicletta, il monopattino, la bicicletta e, osiamo, il triciclo; forse perché oramai nelle FAQ governative, che mutano continuamente, ci perdiamo anche noi giuristi);
– hanno negato l’accesso a bar e ristoranti e alberghi, sia al chiuso che all’aperto (in sostanza, il caffè del bar ora te lo prendi al banco e lo paghi in cassa, di fatto, ma te lo porti e consumi qualche metro più in là, senza poterti sedere nemmeno al tavolino esterno) ai cittadini in possesso di “passaporto verde cd. base” ma non di “passaporto verde cd. rafforzato” (rafforzato da cosa, è legittimo chiedersi);
– hanno negato l’accesso a palestre, impianti sciistici, piscine, centri benessere, musei, congressi e fiere, centri sociali e culturali, sale da gioco ecc…. e hanno vietato gli sport di squadra al chiuso e all’aperto a chi è in possesso di solo green pass base e non del neo salvifico Super green pass;
Il tutto fino alla fine dello stato di emergenza sanitaria nazionale: che ormai appare chiaro, anche a chi non aveva avuto questa previa visione, non si avrebbe alcuna intenzione, almeno sembra, di dichiarare caducato.
– hanno vietato eventi, manifestazioni e feste all’aperto e attività in sale da ballo e locali assimilati fino al 31 gennaio 2022; ivi comprese le feste successive alle cerimonie religiose, mentre alle cerimonie religiose (e lo scrivo da cattolico frequentante, non per questo non rimarcandone l’assurdità) non è stata apposta nessuna misura restrittiva.
– curiosamente hanno consentito che i corsi di formazione in presenza “al chiuso” possano essere frequentati con solo green pass base, che evidentemente in questa sede garantisce chissà perché il “non contagio” quanto quello rafforzato, pur trattandosi di attività al chiuso, e ciò contro ogni “principio di ragionevolezza della norma giuridica”;
-hanno infine imposto “controlli, anche a campione, con tamponi antigenici o molecolari per gli ingressi sul territorio nazionale” anche ai cittadini degli Stati membri europei, in probabile violazione del Regolamento europeo istitutivo del Green pass (Regolamento UE 953/21) che non prevede controlli ulteriori e addizionali imposti dagli Stati membri rispetto al possesso del certificato verde “europeo” da tampone negativo, da vaccinazione eseguita o da guarigione certificata dal covid.
Infine, in attesa del prossimo Decreto Legge che probabilmente istituirà il Super Mega Green pass plurirafforzato (immaginiamo a beneficio dei cittadini virtuosi che si sottoporranno alla quarta dose e alle successive), l’epopea del fantadiritto governativo nazionale si è (almeno, alla data di questo scritto) conclusa con la venuta alla luce del D.L. 1 del 7 gennaio scorso.
Quest’ultimo provvedimento ha imposto:
– l’obbligo vaccinale fino al 15 giugno 2022 ai “cittadini italiani e di altri Stati membri della UE residenti nel territorio dello Stato” con più di 50 anni (norma discriminatoria in ragione dell’età anagrafica del cittadino) , sanzionandoli , in difetto e in caso di inottemperanza, per ora, con la somma di €.100 (cento), che sarà escussa attraverso apposito procedimento gestito (ovviamente) dalla Agenzia delle Entrate la quale accederà ai dati sanitari dei cittadini non vaccinati o non completamente vaccinati;
– l’estensione dell’obbligo vaccinale anche al “personale delle Università e alle Istituzioni di formazione artistica, musicale e coreutica e degli istituti tecnici superiori”;
– l’accesso solo con “passaporto base” ai “servizi alla persona” e a pubblici uffici, banche, poste e attività commerciali e colloqui con detenuti in carcere, anche se minori (qui però solo fino al 31 marzo 2022); e così anche l’accesso per avvocati, consulenti e periti alle aule di giustizia, professionisti che fino ad oggi erano stati “risparmiati” dall’obbligo;
– una serie di norme modificative della gestione dei casi di positività all’interno delle scuole (normativa che ha gettato nel caos la scuola “in presenza” che doveva essere garantita in tutti i modi), di fatto svuotando le classi e mettendo a casa in “quarantena da contatto stretto per dieci giorni” milioni di bambini e ragazzi in tutta Italia che, pur avendo fatto la prima e seconda dose, non hanno fatto la terza nei 120 giorni dalla seconda (!). Alla faccia dei rassicuranti e paternalistici proclami televisivi del nostro PDC Draghi e del Ministro MIUR Bianchi e del DL 111/2021 (DL sempre di questo stesso Governo, risalente all’agosto 2021).
Ad ognuno di questi Decreti, i primi già convertiti dal Parlamento in Legge dello Stato, ha fatto seguito un nugolo di provvedimenti attuativi, circolari ministeriali, ordinanze, delibere e direttive regionali, determinazioni sindacali, in cui anche all’interprete è ormai arduo districarsi. Per non parlare delle cd. “FAQ governativo-ministeriali” che cambiano continuamente (l’ultima, quella sui tabaccai, prima inclusi e poi esclusi dall’applicazione del GP, probabilmente per il timore dello Stato di perdere incassi dai giochi e lotterie oggetto di concessione) e che assumono ormai di diritto il ruolo di norme surrogatorie o integrative dei DL che dovrebbero interpretare (in spregio ad ogni divieto normativo di interpretazione contra o praeter legem).
Tutta questa confusa, certamente almeno parzialmente illegittima e comunque gravemente discriminatoria (cfr. art. 3 Cost. principio di uguaglianza formale e sostanziale) normazione d’urgenza nelle due materie, ormai sovrapponibili e quasi indistinguibili (come avevamo previsto fin da inizio anno scorso), del passaporto verde e dell’obbligo vaccinale, deve essere inquadrata nell’ambito del quadro normativo europeo tuttora vigente.
Il 14 giugno 2021, infatti, è stato approvato dal Parlamento e dal Consiglio il Regolamento UE 2021/953 che ha previsto il cd. “ certificato verde digitale” “per agevolare la libera circolazione sicura dei cittadini nell’UE durante la pandemia da COVID-19”.
Esso non dovrebbe tuttavia costituire, come già esplicitato nella proposta della Commissione, un presupposto indispensabile per la libera circolazione, libertà che risulta essere pilastro fondamentale nel processo di integrazione dell’Unione, o per esercitare altri diritti fondamentali dell’essere umano e del cittadino europeo (salute, integrità psico fisica e autodeterminazione, diritto al lavoro, diritto allo studio e alla formazione scolastica e universitaria, diritti del minore ecc…) tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), dalla Carta di Nizza del 2000 e relativi Protocolli e dalle altre Convenzioni europee.
Ex multis, essendo la normativa europea molto meno nota, anche ai giuristi nazionali (avvocati e giudici) rispetto alla Carta costituzionale, ricordiamo alcune “norme cardine”, quali:
a) CEDU, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (Roma, 1950).
– preambolo CEDU: richiamo ai principi fondamentali della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, O.N.U. (Parigi, 1948), principi di giustizia tra i popoli, rispetto della dignità umana, delle libertà fondamentali e preminenza del diritto;
– art.5 diritto alla libertà;
art.8 diritto al rispetto della vita privata (eccezioni: sicurezza nazionale, protezione della salute, protezione diritti o libertà altrui);
art. 14 divieto di discriminazione. (religione, razza, sesso ecc…… “….. di qualsiasi genere ….. e condizione”, anche di natura sanitaria, quindi);
art. 15 deroga in stato di urgenza (solo “guerra o altro pericolo pubblico che minacci la vita della nazione”).
art.17 divieti dell’abuso di diritto da parte dello Stato membro nel distruggere o limitare diritti o libertà della presente Convenzione (norma quadro fondamentale)
art.28 responsabilità dei funzionari pubblici negli atti in violazione e/o lesivi di diritti (responsabilità civile solidale con lo Stato e gli Enti pubblici).
art. 53 salvaguardia dei diritti dell’uomo riconosciuti (divieto interpretativo norme convenzione a danno dei diritti fondamentali-ultima norma quadro).
Primo protocollo 1. Art. 2. Diritto all’istruzione non denegabile (Parigi 20.03.1952).
Protocollo 12. Divieto di discriminazione esteso (Roma 4.11.2000)
b) Altre Convenzioni UE contenenti norme di rilievo.
Oviedo 1997, Convenzione europea sui diritti dell’uomo e la biomedicina (legge recepimento Italia 2001, non ancora ratificata). Diritto alla salute e all’integrità psicofisica individuale; principi fondamentali del consenso informato libero e incondizionato; prevalenza del bene dell’essere umano sull’interesse della società e della scienza; tutela speciale del minore; divieto di interventi sul genoma umano; norme di cautela sulle ricerche sperimentali ecc….
Strasburgo 1996, Carta sociale europea riveduta – tutela del diritto al lavoro e alla salute (diritti individuali)
Nizza 2000, Carta dei diritti fondamentali della UE, qui dichiarati espressamente indivisibili (si aggiungono e perfezionano i diritti fondamentali rispetto a quelli della CEDU, con inserimento di altri diritti; ad esempio art. 41 il diritto ad essere bene amministrati dai Governi nazionali).
Trattato di Lisbona 2009. Fondamenti UE (dignità umana, libertà, uguaglianza, Stato di diritto, rispetto diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze), libera circolazione, divieto di esclusione sociale e discriminazione; fornisce valore formale di Trattato alla Carta di Nizza.
Orbene, nel predetto quadro normativo di riferimento, di rango superiore (è bene rammentarlo) a quello delle Costituzioni e delle Leggi nazionali, il Parlamento europeo e il Consiglio nel denominare il certificato «EU digital certificate Covid-19», hanno altresì stabilito che esso è valido dal 1° luglio 2021 e che avrà durata di 12 mesi e potrà essere rilasciato dagli Stati membri, nel caso di vaccinazione, solo dopo la seconda dose vaccinale (ove prevista); si noti subito che della terza dose non si tratta nel Regolamento.
Esso, si noti bene fin d’ora, doveva impedire agli Stati membri di imporre una quarantena obbligatoria o un test anti-Covid a coloro che siano in possesso della suddetta certificazione.
Dunque il Green pass europeo nasce come e ha dunque prettamente una funzione di armonizzazione e di libera circolazione, coerente con i valori fondanti l’Unione.
Esso descrive una situazione fattuale (vaccinato, guarito, detentore tampone negativo recente, situazioni tra loro alternative e di pari dignità scientifica e giuridica) ritenuta sufficiente dall’ Europa per non offrire ai Paesi membri la possibilità di imporre ulteriori aggravi di accesso e di circolazione ai detentori del Green pass
Nulla il Green pass europeo dice sulla contagiosità o sulla maggiore o minore contagiosità di chi lo detiene, pur presupponendo che chi si trova in una di queste tre condizioni sia potenzialmente meno pericoloso dal punto di vista della diffusione del vaccino rispetto a chi non vi si trovi.
Giova tuttavia considerare che tutte e tre le condizioni certificate dal Green pass – ed è oggi pacificamente dimostrato e ammesso – non sono garanzia scientifica di non contagiosità.
E infatti:
a) come risulta da bugiardini e moduli di consenso informato i vaccini non proteggono contro l’infezione ma solo contro la malattia e ne è ignota la durata nel tempo;
b) i tamponi mantengono una percentuale non trascurabile di errore;
c) la guarigione non è garanzia di non contagiosità (per quanto le percentuali dei tanti studi internazionali e nazionali ad oggi pubblicati attestino un tasso di contagiosità e recrudescenza della positività non superiore allo 0,1% per i guariti dal covid, almeno per le varianti anteriori alla cd. Omicron).
Si tratta di aspetti che non si possono trascurare tanto nella fase in cui il vaccino è ancora in fase sperimentale e/o di “autorizzazione condizionata” (avendo ottenuto solo un’autorizzazione di emergenza), quanto a sperimentazione avvenuta se la capacità di limitare il contagio non dovesse risultare confermata (e non è confermata almeno per i quattro vaccini attualmente inoculati in Italia).
Veniamo ora ad approfondire l’introduzione della certificazione verde in Italia e le successive estensioni.
Detta introduzione è quindi in continuità o discontinuità con il Green pass europeo?
In Italia, con il Decreto-legge n. 52/2021, in parte modificato, dopo meno di un mese, con il Decreto-legge n. 65/2021, sono state introdotte le c.d. “Certificazioni verdi COVID-19”.
Anch’esse, come quella europea, sono volte a comprovare lo stato di avvenuta vaccinazione contro il SARS-CoV-2, la guarigione dall’infezione o l’effettuazione, con risultato negativo, di un test molecolare o antigenico rapido al Covid- 19. A partire dal 6 agosto 2021, la certificazione, nell’ipotesi di vaccinazione, è valida per nove mesi a far data dal completamento del ciclo vaccinale o, nell’ipotesi di avvenuta somministrazione della sola prima dose vaccinale, dal quindicesimo giorno successivo alla sua somministrazione fino alla data prevista per il completamento del ciclo vaccinale (42 giorni), che deve essere indicata nel Green pass. L’attestazione di avvenuta guarigione, rilasciata dalla struttura ospedaliera presso la quale è stato effettuato il ricovero del paziente affetto da Covid-19 o, per i pazienti non ricoverati, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta e/o comunque dalle AUSL competenti, avrà invece validità di sei mesi. Essa cesserà di avere validità se, nel periodo di vigenza semestrale, l’interessato venga identificato come positivo al SARS-CoV-2 (ciò rafforza quanto detto supra sul dubbio collegamento fra le informazioni contenute nel Green pass e l’aspetto della contagiosità). Quanto al test molecolare o antigenico rapido, avrà validità di quarant’otto ore dalla sua esecuzione; per il primo poi prorogate a 72 h.
Il termine di 9 mesi di cui sopra è recentemente stato ridotto a 6 mesi, in ragione della presa d’atto che l’immunizzazione (rectius, la protezione parziale) non durerebbe oltre i 3-4 mesi e che comunque essa non mette al riparo né dalla contagiosità , né dal contrare la malattia, né dalle forme più gravi di essa, né dalla conseguente ospedalizzazione, né dalla morte.
A dispetto della natura informativa piuttosto che normativa del Green pass, tesa, secondo il dettato normativo europeo , ad agevolare la circolazione ed evitare “le quarantene”, il dibattito sull’ utilizzo interno al territorio nazionale è risultato progressivamente attribuire alla certificazione in questione contenuti normativi e comunque non tanto quella di un “passaporto sanitario” ma piuttosto quella di un “incentivo alla vaccinazione” (per ammissione pubblica di politici di governo, membri del CTS , organi di informazione e virologi televisivi) .
La differenza assume rilevanza giuridica sia sul piano teorico, che applicativo.
Infatti, mentre anche in mancanza di Green pass è possibile accedere a qualunque Paese europeo (soltanto si potrebbe essere oggetto di quarantena, salvo alcune recenti modifiche che hanno introdotto anche l’obbligo di tampone in aggiunta al GP, ad esempio in Italia), traslato nel diritto interno le conseguenze assumono carattere normativo-prescrittivo.
In questo senso, sembra esprimersi il D.L. n. 105 del 23 luglio 2021 rubricato “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e per l’esercizio in sicurezza di attività sociali ed economiche” con il quale, oltre a prorogare lo stato d’emergenza al 31 dicembre 2021, all’art. 3, comma 1, si prevede che “a far data dal 6 agosto 2021, è consentito in zona bianca esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi COVID19, di cui all’articolo 9, comma 2, l’accesso ai seguenti servizi e attività:………”.
Sulla base del suddetto quadro normativo, scaturente dall’interazione tra ordinamento europeo ed ordinamento interno, occorre allora riflettere se gli effetti che sembra si vogliano attribuire al Green pass, si muovano all’interno del perimetro costituzionale e soprattutto dei principi fondativi della nostra forma di Stato, che nel solco delle tradizioni liberal-democratiche sono tesi a bilanciare e a coniugare libertà individuali con doveri inderogabili (artt. 2 e 3 Cost.).
Inoltre, occorre interrogarsi se il suddetto quadro normativo risulta compatibile “con i regolamenti (UE) 2021/953 e 2021/954 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021” come richiede l’art. 4 comma 3, punto 2) dello stesso D.L. n. 105/2021.
Ma qual è dunque l’obiettivo primario della normativa europea sul “certificato verde” ?
Da una parte, ovviamente la tutela della salute, quale diritto fondamentale della persona e interesse della collettività che, com’è noto, nel nostro ordinamento giuridico, trova il proprio fondamento giuridico nell’art. 32 Cost.; dall’altra agevolare la libera circolazione sicura dei cittadini in possesso del Green pass, ovvero di uno dei suindicati requisiti per il rilascio dello stesso, verso i quali gli Stati membri UE non potranno (rectius, non avrebbero potuto) imporre una quarantena obbligatoria o un test anti-Covid.
Nella “logica europea”, il trattamento differenziato, tra chi detiene i requisiti per il rilascio del Green pass e chi non li detiene – se il fine è l’armonizzazione dei requisiti di accesso ai Paesi membri – potrebbe essere ragionevole (come, mutatis mutandis , il passaporto diplomatico o la corsia preferenziale per i frequent flyers) in quanto teso ad agevolare la circolazione in sicurezza e NON a limitarla.
Considerato, inoltre, che il libero rifiuto di persone che “non possono vaccinarsi o hanno scelto di non vaccinarsi”, non potrebbe – stando alla lettera del fondamentale Regolamento UE 2021/953 nella versione rettificata dei primi di luglio (al “Considerando 36”) – rappresentare un motivo legittimo per limitare la libertà di circolazione nell’UE, consentendo a queste persone di accedere a forme alternative al vaccino come il test molecolare o antigenico rapido, che, pur con fisiologica incertezza scientifica, comproverebbero invece la negatività al COVID.
Il principio sancito dal predetto Regolamento UE è in scia con la nota Risoluzione 2361/2021 del Consiglio d’Europa che mira ad evitare discriminazioni tra i cittadini degli Stati membri in ragione della scelta vaccinale.
L’impressione è che con il secondo Decreto-legge n.105/2021, ma ancor più con i D.L. successivi emanati dal Governo e convertiti, a volte con modificazioni (è il caso del DL 127/2021 relativo al GP sui luoghi di lavoro), l’ordinamento giuridico italiano non abbia recepito correttamente le scelte del diritto europeo in materia di Green pass, ovvero la facilitazione della libertà di circolazione in sicurezza tesa a sopprimere la quarantena obbligatoria.
Al contrario già il d.l. n. 105/2021 sembra conferire al Green pass natura di norma cogente ad effetti plurimi di discriminazione e trattamento differenziato.
Ancor peggio poi si è fatto nei successivi D.L. 111/2021 sulla scuola, D.L. 127/2021 sull’accesso e permanenza sui luoghi di lavoro pubblico e privato, D.L. 172/2021 sull’estensione ulteriore nell’uso del GP ; fino alla recente e abnorme creazione del cd. “GP rafforzato” limitato ai soli vaccinati o guariti che ha disatteso completamente la ratio della normativa quadro europea di settore generando una discriminazione immotivata sotto il profilo scientifico e togliendo ogni valenza all’alternativa del “tampone” europeo, ritenuto salvifico di ogni (iniziale) discriminazione e violazione del principio di eguaglianza anche da tanta giurisprudenza amministrativa dei TAR e del Consiglio di Stato (per quanto in condizioni di ingiusta eccessiva onerosità sotto il profilo economico e con le evidenti complessità generate dalla limitata validità temporale del predetto tampone) .
Dal D.L. 105/2021 in poi , infatti, impedendo ai cittadini – privi di Green pass prima e di super GP – poi di svolgere determinate attività e di poter accedere ad una serie di luoghi, che contribuiscono alla realizzazione sociale e relazionale, al benessere psico-fisico ed alla tutela della dignità umana, oltre che poi addirittura impedendo l’accesso al posto di lavoro e al diritto al lavoro, il quadro normativo espresso dal nostro ordinamento è apparso porsi in contrasto con quello europeo, evidenziandosi anche profili di ragionevole illegittimità costituzionale, sotto il profilo del diritto interno.
Esso, infatti, appare ormai irrispettoso del principio fondativo della protezione della dignità delle persone, i cui diritti fondamentali devono essere garantiti a ciascuno “sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (art. 2 della Costituzione) e del diritto al lavoro garantito come bene supremo e fondazionale della nostra Costituzione (cfr. artt. 1, 3 comma 2, 4, 35 e 36 Cost.); del diritto allo studio e alla formazione scolastica e universitaria (cfr. art.34, ma anche 31 Cost.), ingiustamente compresso anche dall’introduzione del GP e poi del Super GP sui mezzi di trasporto pubblico, impedendo agli studenti il raggiungimento dei locali scolastici o universitari in cui esercitare tali diritti fondamentali; del diritto alla libertà di circolazione di cui all’art.16 , unico diritto costituzionale che potrebbe subire una limitazione in virtù della previsione eccezionale della medesima norma, come diremo qui a seguire.
Il GP europeo è dunque diventato in Italia un surrettizio “invito ricattatorio” alla vaccinazione attraverso la progressiva privazione di molti diritti fondamentali.
E ciò in assenza che quelle “limitazioni” introdotte “per motivi di sanità o di sicurezza” ex art. 16 comma 2 Cost. (peraltro valevoli solo sotto il profilo della libertà di circolazione di natura costituzionale in quanto limitazioni NON richiamate da alcuna altra norma di tale rango, al netto del sopra citato art.16 Cost) siano effettivamente efficaci, anzi.
La tutela della salute, quale bene collettivo, in questo Paese è ormai una mera chimera priva di ogni fondamento scientifico nel momento in cui il GP, e ancor più il Super GP, esclude i non vaccinati praticamente da ogni attività consentita ai vaccinati o ai guariti, pur a parità di possibilità di trasmissione del contagio e pur se muniti, i primi, di tampone negativo.
Inoltre, va sottolineato ancora come il Green pass europeo nella versione originaria, interveniva sul principio della libera circolazione, in quanto strumento di facilitazione e non di compressione di una libertà, ovvero quella di spostarsi liberamente tanto entro i confini nazionali quanto entro lo spazio europeo, e la cui disciplina costituiva un’esplicitazione a livello nazionale della normativa regolamentare europea.
L’azione del Governo italiano si è appiattita invece, tra l’altro, sulla logica emergenziale del decreto legge, sottraendo ancora una volta al Parlamento il potere di orientare – anche attraverso il contributo delle minoranze parlamentari che sono logicamente escluse dalla deliberazione sul decreto legge, dominio della maggioranza governativa che usa lo strumento della “fiducia”- la scelta politica in un ambito, come quello dell’adozione del Green pass, nel quale principi fondamentali, diritti individuali di libertà e interesse della collettività alla salute devono trovare una loro equilibrata coesistenza. In merito al primo punto, il nostro ordinamento con questi Decreti-legge in materia di GP e GP rafforzato sembra quindi esprimere un modello divergente e dicotomico da quanto rappresentato nel succitato quadro ordinamentale europeo.
Pertanto sulla base degli artt. 11 e 117, comma 1 Cost. e della giurisprudenza della Corte costituzionale, tali D.L. andrebbero disapplicati dal Giudice nazionale ovvero, in subordine, attivato il meccanismo del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia europea (cosa che alcuni coraggiosi Giudici del Lavoro nazionali stanno in effetti facendo, sulla scia dei ricorsi che noi avvocati “disobbedienti” stiamo presentando).
Infatti, non si tratta di una divergenza minore e superabile nel quadro di un libero esercizio di discrezionalità politico-legislativa, ma siamo in presenza della configurazione di un altro modello di governance della pandemia, fondato su forme discriminatorie, piuttosto che estensive dell’esercizio dei diritti.
Mentre il quadro normativo europeo configura dunque un modello di governance basato sul ragionevole trattamento differenziato, teso ad agevolare la libertà di circolazione in sicurezza, nel “modello italiano” sembrano trovare spazio provvedimenti di carattere normativo e/o amministrativo, tali da generare irragionevoli e non proporzionati trattamenti differenziati al punto da incidere su ampie fette della vita sociale dei cittadini (la quasi totalità dopo il DL 127/2021 e il recentissimo DL 229 del 30/12/2021 cui ha fatto seguito il DL 1 del 7/1/2022).
Inoltre, la normativa europea (il considerando 6 del Regolamento UE 2021/953) riconosce il potere degli Stati membri di stabilire limitazioni – sempreché proporzionali e non discriminatorie – al diritto di circolazione, ma occorre che esse siano “strettamente limitate nella portata e nel tempo”: anche sotto questo profilo si rivelano stridenti e in contrasto con la normativa europea i due penultimi Decreti-legge che hanno prorogato lo stato di emergenza (prima di sei mesi fino al 31/12 u.s. e poi fino al 31/03/22).
In sostanza, la certificazione verde in Italia è finita per costituire l’imposizione, surrettizia e indiretta, di un obbligo vaccinale per quanti intendano circolare liberamente sui mezzi di trasporto e/o usufruire di servizi sociali, culturali, sportivi o spazi chiusi o aperti al pubblico e/o svolgere le proprie mansioni lavorative, senza rimetterci lo stipendio e il posto di lavoro.
Ne conseguono la violazione della libertà personale, intesa quale legittimo rifiuto di un trattamento sanitario (in gran parte) non obbligatorio per legge, o comunque di continue e quotidiane pratiche invasive e costose quali il tampone, oggi ormai quasi inutili con l’introduzione del GP rafforzato con i D.L. 172 in vigore dal 6/12 us, D.L. 229/2021 in vigore dal 10/1/2022 e DL 1/2022 (oltretutto anche in zona bianca, quindi non in presenza di condizioni obiettive di necessità e urgenza).
Resta sullo sfondo la questione se il Green pass, nella versione precettiva introdotta ab initio già dal Decreto-legge n. 105/2021, possa costituire valido strumento per imporre quelle limitazioni alla libertà di circolazione per motivi di “sanità” pubblica previste dall’art. 16 della Costituzione, che attenta dottrina tiene distinta dalla libertà personale ex art. 13 Cost., sebbene si tratti di libertà strettamente connesse. Se da un lato si può sostenere che la riserva di legge formale contenuta nell’art. 16 Cost. sia stata rispettata dall’adozione del Green pass con Decreto-legge, dall’altro occorre interrogarsi se il Green pass, per essere ragionevole e proporzionato in termini di costi/benefici, sia effettivamente l’unico strumento in grado di garantire la sicurezza sanitaria dei cittadini e dunque tale da imporre limiti legittimi alle loro libertà. La prova di resistenza, per testare la legittimazione giuridica del Green pass, è dunque costituita dall’assenza di obbligo vaccinale, più o meno sempre più generalizzato, per cui soltanto una legge che imponga la vaccinazione obbligatoria erga omnes – ove sussistano i presupposti legali e scientifici, il che non è scontato in una situazione come quella attuale in cui il cd. “principio di precauzione” e il “rapporto benefici – rischi per il singolo individuo” della vaccinazione (Corte Costituzionale sentenza Cartabia 2018 e tante precedenti, tutte conformi) è tutto da dimostrare – potrebbe costituire forse valido fondamento giuridico al Green pass di tipo prescrittivo.
In conclusione di queste nostre opinioni, possiamo affermare con certezza che siamo passati purtroppo da un modello europeo che proponeva e propone di “agevolare la libertà di circolazione in sicurezza”, impostato su un concetto di responsabilità individuale e collettiva, di modello liberal-democratico, ad un modello prescrittivo e discriminatorio, nel quale la dimensione della doverosità, pur presente in Costituzione, si troverebbe priva di un fondamento giuridico costituzionale, ed in ogni caso appare sproporzionata e irragionevole nonché insufficientemente motivata da dati scientifici sempre più contestati ed evidentemente inattendibili (si veda, per tutti, il numero dei decessi “per” covid in base alle risultanze dei dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità che li determina in una misura non superiore al 3% dei decessi totali “con covid abbinato ad altre patologie”) rispetto alle esigenze tese a garantire l’esercizio responsabile delle insopprimibili libertà individuali.
Avv. Andrea Montanari
Vicepresidente e Coordinatore Gruppo giuridico EUNOMIS