di Sabrina Leonelli*
Ci ricordiamo ancora dell’ottobre 2022 quando nelle piazze e sui media assistevamo al taglio delle ciocche di capelli da parte di uomini e di donne a sostegno delle cittadine iraniane lese nella loro dignità e libertà di espressione?
Tutto era scaturito dall’uccisione di Hadith Najafi, una delle giovani simbolo delle proteste scoppiate in Iran, in seguito alla morte di Mahsa Amini, assassinata dalle forze di sicurezza iraniane.
Ciocche che capitolavano a terra e flash mod in ogni parte della penisola con cui il nostro paese prendeva le distanze dai regimi totalitari e repressivi, in quel caso concentrandosi sulla condizione femminile.
La mobilitazione aveva interessato singoli cittadini, associazioni, ordini professionali come gli avvocati ed era tesa a sensibilizzare l’opinione pubblica su come erano trattate le donne in quel paese. Sacrosanta la denuncia! Se non fosse che la modalità appare da sempre la stessa: riflettori accesi all’occorrenza, qualche dibattito per sottolineare quanto sia evoluto il nostro Occidente e rimarcare, enfatizzando oltre misura, le cosiddette derive integraliste e coercitive di altre realtà. Il consueto e superficiale approccio, una inesistente contestualizzazione dei fatti e nessun allargamento del tema a contesti in cui le donne vivono condizioni ancora più gravose, come lo Yemen, ma la lista sarebbe lunga. Qualche giorno di ribalta e movimenti ‘danzanti’ che sono poco più di folklore, qualche acceso talk show con ospiti indignati, poi tutto si spegne per dedicarsi alla successiva manfrina propinata ad arte dal sistema mediatico.
D’altra parte non possiamo fare a meno di ricordare come l’infanzia e l’adolescenza di molti di noi siano state impregnate del falso mito del cow boy buono che combatteva i selvaggi e cattivi indiani, quei nativi americani praticamente sterminati che oggi riconosciamo per la loro saggezza, grazie agli insegnamenti magistrali sul rispetto nei confronti della natura, degli esseri umani e del sapere: conoscenze ancestrali e profonde che sono state distrutte con la solita violenza e senza alcuna remora dai più forti. Una storia che si ripete, come vediamo.
La riproposizione del solito sistema binario dei buoni e dei cattivi che cambia per riadattarsi al variare dei temi e degli argomenti da sdoganare, come è stato per il conflitto russo ucraino, tra no vax e sì vax, tra sostenitori del cambiamento climatico e negazionisti ecc… Etichette studiate a tavolino e ben inserite nel flusso della propaganda che penetrano in ognuno di noi in maniera oserei dire endemica, toccando corde che a seconda dei temi ci fanno più o meno risuonare, che respingiamo o a cui aderiamo. Ciò che conta, come ormai abbiamo imparato, è mantenere vivo il divario e lo scontro tra due parti, nemici e alleati, a favore o contro la narrazione ufficiale o la teoria esposta; non importa nemmeno tanto da che parte si stia, l’importante è spaccare l’opinione pubblica e impedire che unita si accorga di chi è il vero nemico da combattere per garantire qualità e benessere alla propria vita e alla società in cui gravita. I romani ce lo hanno insegnato con il loro Divide et impera.
Sull’Iran in questi turbolenti giorni di scontri in Medio Oriente, si sta facendo la stessa sporca operazione, dipingendo questo paese attraverso efficaci stereotipi che lo tratteggino come la minaccia persino dei nostri valori occidentali, della democrazia e del progresso, da parte di chi si erige sul pulpito della loro presunta salvaguardia.
La complessità di quell’area geografica, i suoi territori con i loro governi, la storia dei regimi e i meccanismi di natura economica, finanziaria e bellica sono articolati ed estremamente delicati da trattare, ma la semplificazione spesso ideologica e strumentale che ne viene fatta non permette certo di conoscere meglio e in maniera il più possibile oggettiva la portata degli avvenimenti che stanno soffiando sul fuoco di un conflitto mondiale dagli esiti potenzialmente nefasti e che nessuno può prevedere nella sua evoluzione.
Non viene detto, per esempio, che l’Iran ha un ruolo determinante nella ridefinizione geopolitica del Medio Oriente, tanto più essendo inserita nell’alleanza dei Brics, assieme ai paesi emergenti come India e Brasile, e che vedono il coinvolgimento di Russia e Cina. Un patto in fase di consolidamento grazie al quale, peraltro, la Russia si è rafforzata ulteriormente, nonostante le sanzioni che avrebbero dovuto indebolirla – mentre siamo stati maggiormente noi a farne le spese! – trovando una nuova via di sviluppo, diversamente da quanto professato dai nostri governi.
Non viene nemmeno detto che l’Iran è un paese in crescita, moderno e istruito, soprattutto nei grandi centri urbani, molto giovane e con un alto senso della patria; che dispone di un forte apparato militare e di un esercito costituito in prevalenza da giovani, rappresentanti il 70% della popolazione, che vanta una media di 18 anni e conta complessivamente 90 milioni di persone. Un paese che militarmente parlando ce la farebbe anche da solo a difendersi.
Questi elementi, però o per meglio dire, quindi, sono il tratto disturbante per Israele e la sua sete di egemonia su quella porzione importante di mondo che è, al di là di ogni contenzioso religioso e di altra natura, un importante scrigno di ricchezze, petrolifere e di gas naturale (grazie anche a importanti giacimenti ritrovati al largo della Striscia di Gaza e nel territorio della Cisgiordania occupata), e quindi ambito terreno di conquista. Ma sussiste anche il progetto di un nuovo canale alternativo a quello di Suez, denominato Ben Gurion, che risale agli anni sessanta per potenziare il collegamento tra Mar Rosso e Mediterraneo, togliendo il monopolio egiziano sul transito commerciale in quel tratto e che oggi Israele vede in ottica di rilancio per farne un bottino e un presidio strategici. Insomma l’Iran è proprio il bruscolo nell’occhio rispetto ai suoi obiettivi di acquisire il controllo totale su quell’area, potendo eliminare ogni concorrente e avversario che possa limitare le sue spinte espansionistiche.
Il conflitto bellico che interessa quei territori e più in generale la guerra in ogni parte del mondo produce indubbiamente enorme ricchezza, non solo in termini di produzione di armi, ma per tutto l’indotto che vi gira attorno, certamente più remunerativa per i grandi affaristi del pianeta rispetto alla pace che ad oggi non fa ancora Pil.
Già nel 1974 Alberto Sordi nel film “Finché c’è guerra c’è speranza” ci raccontava bene come i conflitti militari siano una immensa miniera di denaro (oltre che di morti).
L’Iran è allora un inquilino scomodo per le brame di potere e di conquista che si giocano in quei territori e una vera e propria minaccia in virtù delle sue potenzialità, nonché per la sua capacità di giocare un ruolo strategico determinante nel ridisegnare gli equilibri di quell’area.
Spesso descritto come un paese arabo (ma gli arabi non superano il 10% della popolazione), l’Iran è in prevalenza sciita (solo una minima parte della popolazione appartiene all’altro ramo dell’Islam: i sunniti), ma sono presenti dentro i suoi confini anche ebrei, zoroastriani, cristiani, beluci: una popolazione quindi multietnica e con un governo non confessionale. L’Iran è a sua volta anche alleato con la parte sciita dell’Iraq, con gli Hezbollah che è il fronte della resistenza sciita in Libano, della Siria (paese laico che si potrebbe in un certo senso definire ex socialista) oggi in fase di transizione verso un nuovo sistema presidenziale (che parrebbe meno ideologico di quello del passato), ma comunque fortemente anti imperialista. Ed è alleato anche con quella parte di resistenza palestinese che non ha stretto legami con i fratelli musulmani: la Jihad islamica in Palestina.
Fonda la sua cultura sull’Antica Persia e la lingua parlata è persiana: il farsi.
Ancora prima dell’attacco al suo Consolato a Damasco ad opera di Israele a cui abbiamo assistito nelle settimane scorse (che è stata una duplice invasione dei cieli siriani e di quello spazio diplomatico) l’Iran ha conosciuto nel tempo diversi tentativi di destabilizzazione e abbattimento dall’interno del suo sistema politico, provocazioni, embargo e la rivoluzione colorata, senza che i suoi aggressori abbiano mai potuto andare oltre perché è un paese (diversamente dall’Iraq) che non permette una invasione militare in virtù della conformazione del suo territorio. E sarebbe inoltre davvero complesso mantenere un presidio militare una volta occupato.
Ed era ovvio che l’Iran non potesse evitare una risposta a quell’attacco, ma lo ha fatto dimostrando che non aveva nessuna intenzione di alzare lo scontro e di provocare morti. Lanciando cioè qualche centinaio di droni (rispetto all’ampia dotazione di cui dispone, che hanno viaggiato nella notte a 150 km orari e ci hanno messo sette ore ad arrivare sul territorio israeliano) come atto dimostrativo, evitando i civili e puntando su obiettivi militari, che Israele ha avuto modo e tempo di intercettare (nonostante pare vi siano state falle nello scudo di protezione Iron dome, che è la Cupola di Ferro israeliana: un sistema d’arma mobile per la difesa antimissile), con un dispendio economico di oltre un miliardo di dollari. Il messaggio che è arrivato ad Israele da parte dell’Iran è stato inequivocabile: la spesa necessaria a difendersi da simili attacchi (minimi rispetto al suo potenziale militare) non sarebbe sostenibile a lungo, nemmeno per Israele, che solitamente agisce senza le stesse premure, se pensiamo alla carneficina attualmente in atto che ha portato finora a oltre 30 mila persone uccise a Gaza tra cui metà sono bambini.
Ma l’Iran con questa rappresaglia ha sancito anche il suo ruolo di protezione rispetto al mondo arabo e simbolicamente l’impatto è stato forte, come d’altra parte la stessa Russia nel conflitto ucraino ha a suo modo dimostrato una oculata ragionevolezza nella controffensiva (che ribalta l’idea di stato invasore che si è voluto raccontare).
L’atteggiamento aggressivo che sta mantenendo Israele (ricordandoci sempre della parte di paese nettamente contro le posizioni di Netanyahu, il quale con le sue posizioni di fatto rappresenterebbe non gli Ebrei, ma il sionismo revisionista) non fa che ampliare la consapevolezza del mondo – quasi – intero, rispetto alla follia delle sue decisioni, a cui non può nemmeno sfuggire il raziocinio dell’Iran nel tentare di spegnere ogni pericoloso oltraggio e rimostranza che potrebbero innescare una escalation a dir poco perniciosa.
Disarmante è oggi l’evidenza con cui osserviamo l’inossidabile complicità tra Occidente e Israele, unite da forti legami economici e non solo (si veda soltanto l’influenza israeliana a Hollywood). Il forte legame di Usa e Israele si è poi palesato nei giorni scorsi con il discorso di Trump che ha sostanzialmente tenuto la posizione dei Democratici nell’appoggio incondizionato a Israele. Ma sappiamo che all’interno sia dei Repubblicani che dei Democratici d’America sussistono due posizioni che si potrebbero definire antitetiche rispetto alle logiche di potere e alle scelte politiche. Gli Stati Uniti e chi si candida a essere il presidente di quel paese non possono, comunque, prescindere da Israele e viceversa. E’ pur vero, che l’Italia ha buoni rapporti con l’Iran, come li ha sempre avuti con la Russia, ma è chiaro come in questa fase non possa prendere posizione per via del suo governo dichiaratamente filoisraeliano e filoamericano.
Biden finge una funzione di moderatore, ma continua sottobanco a fornire le armi necessarie per la pulizia etnica che a Gaza prosegue imperterrita il suo corso.
Ciò che parallelamente si sta verificando, oltre per fortuna all’aumento degli appelli per lo stop alle ostilità, è il grande guadagno che i mercati stanno realizzando da questa malsana aria di belligeranza, agìta sulla pelle dei popoli e dei civili in quelle aree.
E’ difficile non riconoscere nell’atteggiamento di Israele (sempre inteso nell’espressione politica di Netanyahu) l’applicazione del detto: “Muoia Sansone con tutti i filistei“, dove la concezione del sionismo revisionista attualmente al potere interpreta addirittura l’uso dell’arma nucleare come sistema militare, non di deterrenza ma con finalità offensive, arrivando addirittura a valutare come verosimilmente possibile il first strike (il primo colpo).
Cina, Russia (che hanno messo da parte la loro proverbiale conflittualità del passato perché il loro nemico comune attualmente sono gli USA) e Iran uniti, rappresentano comunque per gli Stati Uniti un bel problema e gli USA faranno di tutto per dividerli. Questo potrebbe avvenire per esempio proponendo una pace vantaggiosa alla Russia in Ucraina.
Allo stesso modo, Putin ha un grande potere economico dentro Israele e tanti russi con passaporto israeliano hanno votato Netanyahu.
Un mondo come vediamo intrecciato in mille refoli che rendono il soffiare dei vari venti di guerra a dir poco insidiosi, e se soffiano sopra il Medio Oriente che rappresenta un vasto territorio dove l’effetto domino non è mai da ritenersi una ipotesi troppo remota, la minaccia si fa davvero pressante e concreta per l’intero pianeta.
Siamo, insomma, immersi in uno stillicidio di azioni, rimostranze, attacchi e contro attacchi, implicazioni e grovigli poco diplomatici, assieme all’immancabile sopraffazione e negazione dei diritti civili e umani.
Avvolti da una nube tossica di emergenza e paura, dentro una complessità di fatti e variabili di difficile comprensione e proiezione su un immediato futuro, non possiamo fare altro che restare accesi nei nostri cuori, una volta spente le notizie e i clamori; restando in ascolto e vigili, consapevoli che siamo privati degli strumenti adeguati per comprendere appieno quanto stia realmente accadendo.
Ma non scartiamo nemmeno l’idea che queste grandi potenze con le appendici tentacolari infiltrate ovunque abbiano un proprio disegno egemonico e di spartizione del potere, con una prospettiva ben più lucida del fumo che ci gettano negli occhi e che questo scenario apocalittico sia l’arma per soggiogare e rilanciare le loro brame di possesso e supremazia, sapendosi accordare tra loro e che si interrompa pian piano o per incanto quel delirio di pura follia che come un vortice ci sta trascinando in un baratro irreparabile. Magari si tratta, perché no? sempre di teatro (noi siamo già da tempo spettatori del canovaccio con cui muovono i fili delle nostre vite) e allora non ci resta che sperare che il copione cambi e ci concedano un epilogo che risollevi il mondo dalla sua angusta vocazione di polveriera e morte.
Vogliamo crederci, senza mettere la testa sotto la sabbia, fuori dal rumor della propaganda e soprattutto, almeno noi, e per quanto ci è possibile, restando Umani!
Giornalista, scrittrice, responsabile del servizio biblioteca, cultura e politiche giovanili del Comune di Granarolo dell’Emilia (Bo)*
Per ulteriori approfondimenti:
“Storia alternativa dell’Iran islamico, dalla rivoluzione di Khomeini ai giorni nostri (1979-2019)”.
di Paolo Borgognone
e “Which path to Persia, Options for a New American strategy toward Iran”.
(Analysis paper, number 20, June 2009), The Brookings Istitution.