Come noto, la mancata esibizione della certificazione verde, necessaria per poter svolgere numerose attività, comporta l’applicazione – anche in capo al singolo cittadino – di una sanzione amministrativa (da € 400,00 ad € 1.000,00) ai sensi dell’art. 13, d.l. 22.04.2021, n. 52, convertito in l. 17.06.2021, n. 87, a sua volta prevista dall’art. 4, d.l. 25.03.2020, n. 19, convertito in l. 22.05.2020, n. 35.
Conservano, tuttavia, rilievo penale le condotte fraudolente di coloro che non si limitano ad omettere l’esibizione della certificazione, ma si adoperano per aggirare le disposizioni normative in materia.
Falsificazione del green pass ed esibizione di certificazione d’altri assunta come propria costituiscono le due violazioni di maggior rilievo.
Componente area penale del Gruppo giuridico EUNOMIS
Al riguardo, trovano applicazione le disposizioni incriminatrici contenute al Capo III (della falsità in atti), del Titolo VII (delitti contro la fede pubblica) del Codice Penale.
In particolare, la condotta di alterazione del documento rientra nella fattispecie di cui all’art. 482 c.p. (falsità materiale commessa dal privato) e, dal momento che lo stesso è equiparabile ad un certificato o ad un’autorizzazione amministrativa, la pena della reclusione da sei mesi a tre anni ivi prevista è ridotta fino a un terzo. Il mero utilizzo di un documento falsificato da altri rientra, invece, nell’ipotesi di cui all’art. 589 c.p. (uso di atto falso), che prevede un’ulteriore riduzione della pena di un terzo.
L’apposizione sul documento della data di vaccinazione, guarigione od esecuzione del tampone, nonché delle sole generalità del titolare e non d’un rilievo fotografico dello stesso, unitamente alla circostanza che gli addetti ai controlli non hanno l’onere di verificare l’identità del possessore, fa sì che il green pass possa essere agevolmente scambiato con quello d’altro utente. In tal caso, la condotta di coloro che esibiscono come propria l’altrui certificazione rientra nella fattispecie di cui all’art. 494 c.p. (sostituzione di persona), con pena detentiva fino ad un anno di reclusione. Peraltro, proprio la carenza dell’onere di identificazione in capo al gestore della struttura (commerciale, assistenziale, sportiva, ricreativa, etc.) solleva quest’ultimo dal menzionato delitto, ma non dalla citata sanzione pecuniaria amministrativa e dall’eventuale chiusura dell’attività in caso di reiterazione della condotta.
Di certo, il regime di procedibilità d’ufficio di dette fattispecie, con potenziale ‘denunciabilità’ da parte di chiunque, potrebbe generare effetti incontrollabili nella prassi, al pari di quanto accadde con la contravvenzione di violazione dell’isolamento fiduciario, introdotta nella prima fase di diffusione del Covid-19 (furono oltre centomila le denunce nel breve periodo intercorrente tra i primi due decreti-legge emergenziali) e che ha poi portato il legislatore a rivedere l’impianto sanzionatorio.
Avvocato Francesco Cardile
Componente area penale del Gruppo giuridico EUNOMIS